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Torino, inverno 2018
Anche agli occhi di un inguaribile ottimista questo è stato un anno difficile. Il ‘modello Torino’, che ci aveva portato a essere ‘la città più performante d’Italia’, pare abbia esaurito la sua spinta. Tra polemiche e timori, oggi prevale la preoccupazione. Diverse le cause che hanno generato il nuovo scenario: visioni (e soluzioni) amministrative controverse, un quadro politico nazionale (e anche internazionale) che non rassicura, dove tutto sembra fragile e provvisorio, una ormai cronica difficoltà a spendere e investire nelle città e nei loro bisogni. Ma come in ogni fase di transizione, occorre misurare le perdite e valutare le soluzioni. La rinuncia alle Olimpiadi è una ferita ancora aperta, i magri bilanci destinati alla cultura non sono stati compensati da nuove idee e progetti originali, così è già un miracolo se riusciamo a tenerci quello che avevamo prima, col Salone del Libro che boccheggia, mentre si avverte la necessità di una vera politica turistica adeguata a scenari in continua evoluzione. Se n’è pure andato Noseda, che aveva portato il Regio ai vertici internazionali, ancorché con un bilancio economico che rivela oggi tutte le sue criticità. E mi riferisco a cultura e turismo perché queste erano e dovrebbero essere le nostre carte vincenti, le carte vincenti di una cultura metropolitana competitiva.
Mi riferisco a cultura e turismo perché queste erano e dovrebbero essere le nostre carte vincenti, le carte vincenti di una cultura metropolitana competitiva. Cultura e turismo sono bellezza e lavoro, immagine e sostanza
Cultura e turismo sono bellezza e lavoro, immagine e sostanza, ma quando qualcuno ancora sostiene che il turismo non genera occupazione, allora di cosa stiamo a parlare? Siamo persino tornati agli albori dell’era industriale contrapponendo il centro alle periferie, così si deprime il primo (vedasi la nuova ZTL centrale), senza ancora capire bene come rilanciare le seconde. Questo è il menù, verrebbe da dire. Ma forse no, perché Torino non ha mai avuto l’anonimato nel suo DNA e, come un pugile di razza, sa che si può vincere anche dopo un KO. In più, Torino ha imparato a muoversi controcorrente, perché, come ci ha spiegato Max Casacci, «non si allinea mai». Da dove partire? Sicuramente dal concetto di Cultura Metropolitana. La città va intesa come un organismo vivente e pensante, che reagisce quando viene stimolato. E la Cultura Metropolitana è fatta di attori e palcoscenico. Nessuno dei due elementi deve essere carente, pena l’anonimato. Nel mio personale Esageruma, vedo un piano strategico che, come il primo, nel 2000, a suo tempo persino visionario, punti alla promozione della città.
Torino ha un patrimonio monumentale e museale di assoluto profilo internazionale, ma occorre non solo renderlo visibile e fruibile (di giorno, la sera e persino di notte se si può) ma soprattutto raccontarlo. Avere il coraggio e la sensibilità per raccontarlo non solo a Torino (e ci mancherebbe) ma in Europa e al mondo. Facendo finalmente lavorare bene anche il web e i social, dove sembriamo ancora all’età della selce e non del silicio. E poi, facciamo uscire dal torpore e dal disincanto i protagonisti della scena: musicisti, creativi, attori, artisti. Nella nostra intervista di cover, Samuel dei Subsonica ci ricorda che «dove c’è diversità c’è sempre ricchezza, dove c’è differenza c’è contrasto e dove c’è contrasto c’è voglia di espressione». Questa è Torino, dove i Murazzi, aggiunge Boosta, «sono stati un’anomalia che ci hanno invidiato in tutta Europa. Un agglomerato di esperienze, vite, storie, estremi […] Un luogo definito ‘anarchico’ perché conteneva tutto […] notai, ragazzi usciti dalla fabbrica, chi arrivava da altri locali e aveva voglia di far nottata».
Per la rinascita servono progetti, per la rinascita serve un nuovo Piano Strategico. E serve una Cultura Metropolitana che connetta il reale col racconto. Le grandi città del mondo – e anche molte tra le meno grandi – hanno capito da tempo cosa occorre fare. Creano e raccontano, raccontano e creano. Ma, per cortesia, non mi parlate di incubatori culturali. Creatività e organizzazione istituzionale sono una perfetta antitesi. Per ricreare i Murazzi dei Subsonica occorre lasciare spazi liberi, non affiggere regolamenti, perché altrimenti il germoglio non attecchisce. Dove una volta c’erano Puddu e Giancarlo oggi sono arrivati i cocktail serviti dal robot, perfetto emblema della desertificazione culturale. Ma in Vanchiglia e a San Salvario la Torino che ha fatto nascere Club To Club è di nuovo in sella, lasciamola crescere. Noi di Torino Magazine siamo esploratori urbani per vocazione e saremo sempre in prima fila. Esageruma ci piace. In fondo ci siamo abituati: Esageruma dal 1988!