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Piemonte 2023-2033

Il futuro del food&wine al Circolo dei lettori

di Tommaso Cenni

IL 27 FEBBRAIO SI È TENUTO AL CIRCOLO DEI LETTORI DI TORINO IL “LANCIO” DE IL PIEMONTE, RACCONTO DI UNA TERRA MERAVIGLIOSA EDIZIONE 2023, ATTRAVERSO UNA CONFERENZA STAMPA A TEMA FOOD&WINE RICCA DI OSPITI E SPUNTI INTERESSANTI

Il Piemonte, cos’è? È la nostra regione sì, quella di cui Torino è capoluogo, lo sappiamo fin da piccoli; ma è anche molto di più. Il Piemonte è culture diverse, bellezze paesaggistiche mozzafiato, storie, storie di imprese di successo, arte, aerospazio, eccellenze food globali, patrimoni UNESCO, vini che gareggiano per il primato mondiale solo con i francesi, natura, sfide di sostenibilità, un enorme patrimonio per l’Italia tutta. E chiaramente molto altro. Tantissima “roba” direbbe qualcuno. Diciamo noi: tanti aspetti da valorizzare, di cui prendersi cura e ovviamente da raccontare. È nato per questi motivi, quattro anni fa, Il Piemonte, racconto di una terra meravigliosa, periodico annuale che con le sue prime tre edizioni ha cercato semplicemente di tenere fede al proprio nome: raccontare una terra meravigliosa. Ogni volta con un leitmotiv differente.

L’ultima edizione, annunciata il 27 febbraio presso il Circolo dei lettori di Torino, ha scelto la sua missione: raccontare food&wine del Piemonte. Come presentarlo dunque? Non con la solita presentazione, bensì (nell’attesa di vederlo in edicola a tarda primavera) con un vero e proprio evento. Una conferenza dal titolo 27 febbraio 2033, a tavola e in bottiglia che cosa ci attende. Una sorta di acceleratore temporale per individuare progetti, scenari, strategie, opportunità dei 10 anni che ci attendono.

Sul palco un moderatore, Guido Barosio (direttore de Il Piemonte), e molti ospiti: Mara Antonaccio (biologa nutrizionista), Pietro Bonada (founder Revibe, metaverse factory), Mauro Carbone (destination manager), Antonio Chiodi Latini (chef), Supreeth Fasano (Dale Carnegie Trainer), Silvia Guidoni (docente viticoltura DISAFA), Rocco Moliterni (giornalista), Alberto Mossotto (consulente marketing), Valerio Saffirio (innovation manager) e Davide Scabin (chef).

Un ampissimo palco introdotto dal saluto di Giulio Biino, direttore del Circolo dei lettori, e da quello dell’assessore Paolo Chiavarino, entusiasta di fronte a un evento costruttivo e importante per il territorio.

È dalle competenze che ripartiamo per immaginare il futuro. Il ritratto di questo “2023-2033” non ci è sembrato male, affatto, soprattutto se disegnato attraverso le idee giuste. La grande consapevolezza che ci portiamo a casa, tutti, è che sì, c'è tanto da lavorare, ma insieme si possono raggiungere grandi risultati

Valerio Saffirio è stato il primo ospite chiamato a immaginare questi dieci anni: «Immagino una Torino che nel 2033 è divenuta leader nell’alimentazione, che coniuga innovazione tecnologica e umanità, trasformando la vitalità del buon cibo in idee e progetti, e poi in risultati concreti e visibili. Spiritualità e capacità di trasformare in meglio saranno i valori attraverso cui guidare le azioni dei “robot” e insieme indirizzare il nostro futuro». La capacità di affrontare l’inevitabilità del cambiamento, non solo adattandosi ma anche affrontandolo, è come preventivabile uno dei leitmotiv del confronto. Lo ha sottolineato con forza Mauro Carbone che, parlando delle sue Langhe, definisce il cambiamento (specie quello climatico) una delle rare certezze del futuro. La soluzione? Partire dalle prospettive, abituarsi a osservare e agire da diverse “inquadrature”, evolvendo senza paura, perché la diversità spesso fa rima con opportunità. Dello stesso avviso Mara Antonaccio che concorda sulla necessità di affrontare le trasformazioni, specie quelle più “tragiche”, ma confida nelle nuove generazioni: «Saranno sicuramente, e naturalmente, in grado di affrontare i cambiamenti, si abitueranno in fretta perché questo mondo fluido fa parte già di loro».

Si citano anche i fantomatici grilli, discorso molto in voga, si “provoca” e si dialoga perché: «Spesso è andando verso gli estremi che si scoprono mondi meravigliosi – è intervenuto Pietro BonadaNel business l’ibridazione è parola chiave, e senza ricerca non c’è evoluzione. Ma, per quanto si provi oggi a digitalizzare tutto, anche i nostri sensi, quello del gusto sarà difficilmente riproducibile. Questo dialogo possibile/impossibile tra estremi, tra umanità e tecnologia, sarà sempre di più uno spunto fondamentale». Altra evidenza nata dal dibattito: sono le idee delle persone, un pezzo alla volta, a proiettarci al traguardo di questi dieci anni: «Se tra 10 anni Torino vorrà essere parte del mondo che sarà – la parola ad Antonio Chiodi Latini deve capire che ad esempio la cucina vegetale non è “mortificante”. Può esserlo ovviamente. Ma può pure essere una gigantesca opportunità di esplorazione e nuove scoperte, non solo di gusto ma anche di sensibilità. Se Torino svilupperà in questi anni valori di questo tipo, sarà una città realmente evoluta».

Spartiacque dell’evento l’intervento (a sorpresa) dell’assessore regionale Andrea Tronzano, che ci ha tenuto a sottolineare come l’impegno debba essere da parte di tutti, specie della politica, che deve investire nel food, nei suoi attori, nelle startup, nei nuovi progetti. Con la responsabilità di consegnare tra dieci anni un futuro diverso alle prossime generazioni.

Altro giro, altro ospite: Rocco Moliterni: «Non so quanto cambierà l’esperienza al ristorante, cambierà sicuramente però. Chissà. Mi piacerebbe vedere in ogni caso una sorta di “ritorno al futuro”, riscoprendo l’emozione che si prova stupendosi di fronte all’estro o alle idee messe in tavola da uno chef». E sulla stessa frequenza gastronomico-emotiva ha continuato Supreeth Fasano: «È verissimo, il cibo è emozione. Fa parte della nostra sfera emotiva, la influenza e la alimenta. Parliamo spesso ad esempio di “comfort food”. Mi auguro tra dieci anni che il mondo costruito dagli uomini tratti ancora, e anzi perfino meglio, il cibo come un elemento emotivo della nostra umanità». Cambio delle regole, aggiornamento delle leggi, variazioni nel paradigma mentale dei viticoltori stessi, fiducia nella scienza, maggior dialogo e cooperazione: ci ha riportati poi al concreto Silvia Guidoni, con la sua ricetta per dieci anni di lavoro in cui in campo agricolo (e non solo!) c’è molto da fare. Un intervento che si sposa alla perfezione con la suggestione evocata da Alberto Mossotto: «Queste idee non devono rimanere eteree. Devono entrare nella pratica, nel DNA delle aziende, nella programmazione (che è fondamentale). Investire e mettere al centro del quadro enogastronomico la qualità, non è una alternativa, è l’unica strada percorribile». Davide Scabin ha poi terminato gli interventi degli ospiti: «ci si entusiasma velocemente e velocemente ci si disamora di ingredienti, combinazioni… costruiamo castelli parlati per soddisfare un’idea di buono da mangiare che, prima ancora del gusto, deve appagare l’idea di etico, ecosostenibile… tutta questa materializzazione del gusto necessariamente contiene il suo contrario, e quindi la sua rivoluzione: siamo animali, fatti di sensi. e questo aspetto tornerà a essere dominante! il futuro è ciò che ci siamo dimenticati: spero nel 2033 di poter vedere le nuove generazioni ricordare il loro futuro».

In chiusura Andrea Cenni ha voluto interpellare anche Lamberto Vallarino Gancia che ha ricordato l’eccellenza indiscutibile dei vini italiani nel mondo (chi meglio di lui per farlo) e il grande lavoro fatto nel tempo, base ideale da cui continuare a migliorare; e Walter Rolfo che ha coinvolto la sala in un esercizio di auto-positività, sottolineando come il segreto della felicità (che sì, è possibile) sia già in noi stessi. Nella capacità di pensarci felici, di non dare per scontate le fortune, i picchi di felicità, che per natura fanno parte delle nostre esistenze.

Tanti ma veramente tanti gli spunti, variegati gli ospiti, quasi impossibile riassumere quasi due ore di interventi qualificati e interessanti. La “missione” era quella di fermarci un attimo e ragionare tutti insieme, come non capita più molto spesso, senza limiti e con sensibilità. Ognuno nel proprio ambito perché è dalle competenze che ripartiamo per immaginare il futuro. Il ritratto di questo “2023-2033” non ci è sembrato male, affatto, soprattutto se disegnato attraverso le idee giuste. La grande consapevolezza che ci portiamo a casa, tutti, da una sala gremitissima al Circolo dei lettori, è che sì, c’è tanto da lavorare, ma insieme si possono raggiungere grandi risultati.