Il termine “arte” possiede un’etimologia complessa; sanscrito, greco, ariano: la sua breve radice è tanto antica quanto proveniente da culture differenti. Letteralmente rimanda al significato di “andare verso”, traslato in “fare”, “produrre”. L’ars latina era (e lo sarà fino al ‘700) un’operazione pratica, artigiana; mentre è dall’età moderna che alla tecnica si affianca la dimensione concettuale. L’arte diventa un prodotto culturale, in cui l’ago della bilancia si sposta verso la ricezione dell’arte stessa. Tirare indietro le lancette del significato dell’arte significa tornare a parlare di noi, e concentrarsi sul primitivo significato di “andare verso”, recuperando (forse) anche il valore dell’arte come fondamentale strumento di crescita e benessere personale.
Avvocato, quanto si investe oggi sull’arte?
«Non sono un esperto di arte o di mercato dell’arte (salvo per le possibili declinazioni finanziario-legali), amo però l’arte e Torino, e soffro nel vedere una minoranza auto-referenziale che si autocelebra a scapito dei torinesi tutti. Fatta la premessa, la prima reazione è quella di domandarmi quale significato attribuire al termine “investire”: tenderei a ignorare l’investimento come ricerca di un bene al fine di guadagno, o la creazione/ampliamento di una collezione (di privato, collezionista, ente museale…), per concentrarmi invece sul tema culturale in senso lato. Quanto si investe? Poco. Troppo poco (e in generale della cultura in una ampia accezione). Un esempio pratico: l’insegnamento dell’arte viene considerato come elemento centrale nella formazione? No. Ancora oggi ci sono persone che, dinnanzi all’eccellenza dei nostri licei classici, obiettano che in nessuna parte del mondo si parla greco antico…».
Torino deve riaffermare il proprio ruolo di capitale dell’industria. E deve diventare internazionale.
Giriamo la moneta: quanto non si investe sull’arte?
«In parte ho già risposto, ma aggiungo: in un mondo in cui l’AI muterà ogni parametro e renderà inutile la presenza dell’uomo in tutto ciò che è fungibile, standardizzabile, creativo ma privo – uso un termine forte e desueto – di poesia, non investire in arte e cultura è un suicidio di massa. Intendiamoci: non banalizziamo la questione con domande del tipo “con la cultura si mangia o non si mangia?”. Questo è un argomento diverso che riguarda la poca sensibilità nel nostro paese per l’immenso potenziale economico del patrimonio artistico nazionale. Io parlo di umanesimo: in un mondo sempre più digitalizzato, l’arte e la cultura in generale sono la chiave per ricollocare l’uomo al centro; insomma, un fatto di sopravvivenza della specie. E ancora: l’arte come elemento di integrazione sociale. Non dobbiamo vergognarci delle nostre tradizioni artistiche; un esempio per tutti: un nudo è arte, non blasfemia».
Capita di pensare che la cultura sia una perdita di tempo?
«A me no. A molti sì: salvo che per avere foto da pubblicare sui social accanto a personaggi più o meno noti. Quindi: cultura come visibilità sociale (anche spicciola) o cultura come identità e forza? A lei la risposta».
Un commento sulla “settimana dell’arte” a Torino?
«Interessante, mal comunicata, un po’ troppo accatastata. Occorrerebbe una regia vera».
Alberto Peola, storico gallerista torinese, ha detto che eravamo la città dell’arte, poi ci siamo un po’ fermati; è vero?
«Fermati mi sembra un eufemismo: troppo spesso noi torinesi cerchiamo di addolcirci la pillola. Il tutto condito con accuse – infondate – a Milano di voler fare l’asso pigliatutto. Le racconto questa. Tutti noi andiamo orgogliosi della Reggia di Venaria, recentemente ci sono stato per un evento con persone da tutta Italia, e continuavo ad ascoltare commenti del tipo “non sapevo che esistesse questo luogo splendido!”. Molto male. Poi, se vogliamo continuare a raccontarci una storia diversa, autoreferenziale, che ci mette al riparo dalla concorrenza… smettiamo almeno di lamentarci. E rassegniamoci a restare una città a ridosso delle Alpi, pure un po’ isolata, che da trent’anni parla di alta velocità. Eppure di eccellenze ne abbiamo tante: penso a Rivoli, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, all’Egizio, a Camera, alle potenzialità delle OGR, alle gallerie di alto livello unite a gallerie gestite da giovani entusiasti e preparati, ad Artissima»
Quarta “puntata” insieme all’avvocato Fabio Alberto Regoli: ogni volta un dialogo costruttivo su dinamiche cruciali per il nostro presente, affrontato con le conoscenze e la competenza necessarie a un serio discorso sul futuro
Fabio Alberto Regoli, avvocato d’affari, ha trascorso la sua carriera in importanti studi nazionali e internazionali. Dal 2022 è equity partner di Grimaldi Alliance, studio internazionale italiano con oltre 40 sedi nel mondo e uffici anche a Torino
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