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Torino, inverno 2019
Gli anni Venti del secolo scorso aprirono l’epoca in cui l’umanità poté conoscere, negli anni a venire, il peggio che la propria cattiveria potesse generare. Se vogliamo che gli anni Venti di questo secolo non aprano uno spiraglio verso un abisso ancora peggiore, dobbiamo riscoprire l’intelligenza, ovvero la ‘smartness’, come dicono oltremanica e oltreoceano. E poiché nei prossimi trent’anni assisteremo a una sempre maggiore concentrazione di popolazione nelle città, ecco allora perché è essenziale riflettere sull’idea di smart city. Storicamente le città, tutte, sono state la risposta intelligente al problema della sopravvivenza: stiamo insieme, viviamo vicini, ognuno fa quello che sa fare meglio e lo fa per sé, la sua famiglia, ma anche per gli altri, in cambio di qualcosa a cui non sa provvedere in autonomia.
Regola numero uno. Non si può parlare di smart city se non si afferma il ruolo delle smart communities: intelligenti in quanto curiose, consapevoli e non faziose, desiderose di essere utili e di contribuire al bene collettivo
Ma in realtà, oggi viviamo in città intelligenti? Le grandi città del mondo, e la nostra Torino in particolare, possono dirsi smart? Innanzitutto sfatiamo una convinzione: la smart city è tale perché innova la sua temporarietà e ripensa se stessa per aumentare la sua resilienza, e non solo perché utilizza la tecnologia. Per dirsi veramente smart, una città deve essere molto più che tecnologica, come vedremo insieme fin da questa pagina in cui vi parlerò di due situazioni, apparentemente diverse ma sostanzialmente simili. Lo scorso mese di ottobre, durante l’ultima edizione di Design of the City, rassegna di incontri sul progetto delle città, oltre ad ascoltare il racconto di belle iniziative in giro per il mondo, accetto l’invito dell’Associazione Via Sacchi a partecipare alla presentazione finale dell’omonimo Living Lab che, dopo la fase preparatoria nel 2017 e il design contest nel 2018, ha affrontato con esperti, associazioni, amministratori e cittadini dieci temi, cento idee per via Sacchi sulle problematiche della desertificazione commerciale dell’asse storico, le prospettive di nuove attività e di intervento contro il degrado, i potenziali approcci di governance riferibili anche ad altre aree urbane. Il momento finale, all’Urban Center di piazza Palazzo di Città, ha presentato dieci proposte, veramente interessanti e a basso costo, studiate da altrettanti gruppi di studenti del Politecnico. Cambiamo scena. Un altro invito, questo dell’Associazione Torino Viva, mi porta recentemente a moderare un dibattito sul futuro della zona Lingotto Nizza Millefonti.
La partecipazione dei cittadini ha evidenziato il disagio di un pezzo di Torino già oggi alle prese con una viabilità a dir poco problematica fra la Rotonda Maroncelli e i cantieri del grattacielo della Regione. Non poche preoccupazioni sono state inoltre espresse sulla sostenibilità della scelta di localizzare proprio lì, vicino al grattacielo, la struttura che ospiterà il Parco della Salute, quando già un precedente masterplan aveva fissato modalità e costi per la localizzazione della nuova struttura nell’attuale sito delle Molinette. Cos’hanno in comune i due casi? Chiara ed evidente la volontà di due comunità organizzate di cittadini di condividere le analisi e di partecipare alle scelte. Due esempi che dimostrano che non si può parlare di smart city se non si afferma il ruolo delle smart communities: intelligenti in quanto curiose, consapevoli e non faziose, desiderose di essere utili e di contribuire al bene collettivo. In questo percorso, la tecnologia può certamente dare una grossa mano: prima di immaginare chissà quali futuri scenari di democrazia diretta, sarebbe intelligente utilizzare gli strumenti tecnologici già disponibili per realizzare un dibattito pubblico, serio e costruttivo sulle piccole e grandi scelte destinate a modificare il volto della città. Ovvio che, oltre all’intelligenza degli amministratori, è essenziale poter contare sull’intelligenza, ovvero maturità e consapevolezza, dei cittadini. E l’intelligenza, si sa, si nutre di cultura.