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Torino, Speciale Territorio 2024
Il Salone del Libro era pieno di giovani. Questo basterebbe per far cambiare idea ai pessimisti cronici e ai maldicenti sul futuro del mondo, di questa città e di ogni cosa. Possiamo fare affidamento su chi legge, molti di noi a quell’età vedevano i libri solo sui banchi di scuola. Per accedere alle facoltà universitarie i giovani competono per avere un posto per costruire il loro futuro; non è per avere un pezzo di carta, come si diceva, ma per determinazione in ciò che vorranno essere.
Nel corso della loro formazione, o una volta laureati, non hanno esitazione nel trasferirsi all’estero o in altre città per fare esperienze che potrebbero cambiare la loro vita. Altri sono imprenditori di se stessi, sono determinati nel credere ai loro sogni che diventano desideri e poi azioni. Ci sono coloro che hanno idee capaci di interpretare i bisogni di un mondo che cambia sempre più velocemente, che creano servizi fino a quel momento inimmaginabili. Altri aprono attività artigianali per rispondere ai bisogni di sempre, ma con una cura speciale, consapevoli che la competizione non è altro che lo stimolo a fare meglio.
C’è chi orgogliosamente riprende in mano l’attività dei nonni, quando i padri e le madri non ne hanno avuto le motivazioni o la voglia, distratti dal chiasso degli anni ‘60 e ‘70, dove di buono c’era solo la musica. Ci sono giovani architetti e ingegneri che correggono le vergogne architettoniche dei loro padri o cercano di recuperare le devastazioni ambientali di uno sporco (nel vero senso della parola) precedente consumismo.
Vivono con impegno il presente sapendo che il futuro non esiste e va costruito giorno per giorno
Altri lasciano la città e tornano sulle colline abbandonate da decenni e imparano a fare il miglior vino, altri in pianura a coltivare il riso, il peperone e il cardo gobbo, ad allevare la gallina bionda, il coniglio grigio, la pezzata rossa. Nulla per caso. Altri abbandonano le ville d’immagine dei loro genitori, oltre la cinta daziaria, per vivere il piacere di essere immersi in una città ricca di cultura, dove in ogni stagione, ogni settimana, ogni giorno, mostre, musei, concerti, sport, eventi portano a Torino le eccellenze del mondo in ogni campo e questo li rende orgogliosi della loro città.
Vogliono vedere i turisti felici camminare sotto i portici e poi allungare le orecchie per sentire i loro commenti entusiasti e forse ancora un po’ sorpresi di quanto bella sia Torino. Nei locali al tramonto o all’Università si respira la cultura del mondo che ha incontrato la città sabauda che di austero non ha più nulla, neppure il Barocco che si è fatto solo bellezza e spettacolo. Nuovi ristoranti sono aperti da giovani chef creativi che sanno interpretare la tradizione così bene da non sapere se preferire la loro insalata russa o quella della nonna.
Poi ci sono le arti, la musica e ogni altra forma espressiva che prende forma e cambia le forme. Poi c’è chi cerca lavori umili anche se i genitori vorrebbero qualcosa di più da o per loro, altri che se il lavoro non c’è se lo inventano, altri che, consapevoli che il posto sicuro è finito, non ne sentono il bisogno e vivono con impegno il presente sapendo che il futuro non esiste e va costruito giorno per giorno. È vero, alcuni non si comportano bene e non rispettano la loro città, ma il rispetto avrebbe dovuto nascere prima dei diritti. C’è chi avrebbe dovuto prima capirlo e poi insegnarlo. Come al solito il male fa più rumore di tutti quelli che fanno bene, ma basta saperlo.