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Città di carta

di Giulio Biino

Cronaca di un successo…inaspettato

Torino, Speciale Torino Futura 2022

Il caso ha voluto che questo numero di Torino Magazine andasse in edicola poco dopo la chiusura della 34° edizione del Salone del Libro. Nella precedente rubrica mi ero augurato una risposta del pubblico adeguata allo sforzo organizzativo. E i numeri parlano da soli. Quasi 170mila visitatori (mai così tanti), 1500 appuntamenti e presentazioni all’interno del Salone e circa 500 nell’ambito del Salone OFF, in crescita il numero degli editori presenti, così come i volumi delle vendite. Un successo andato al di là delle più rosee previsioni. Un successo che dimostra come le partnership pubblico-privato possano garantire risultati straordinari quando ben strutturate e fondate sull’unità di intenti. Un successo che, tuttavia, non va ascritto unicamente a chi il Salone lo organizza, ma che appartiene a tutta la “comunità” del Salone, così come a Torino e al Piemonte. Un Salone collocato al tramonto di un’emergenza e nel pieno di un’emergenza nuova. La pandemia ci ha ricordato la nostra estrema vulnerabilità, ci ha ricordato che siamo sulla stessa barca, uniti dalla comune fragilità. E proprio questa fragilità avrebbe dovuto farci scoprire il valore della solidarietà. Solidarietà che deriva nientemeno che dal latino giuridico. Pagare in solidum per i romani indicava l’obbligo contratto da una persona, appartenente a un gruppo di debitori, di pagare interamente il dovuto. La persona solidale era strettamente vincolata ad altri in un legame di interdipendenza. Ed ecco ora il colpo di scena: anche la parola soldo deriva da solidum.

Il Salone appena concluso è stato importante anche come luogo della memoria, in un anno di importanti anniversari: il centenario dalla nascita di Pierpaolo Pasolini, così come il trentennale dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, che è caduto proprio il lunedì di chiusura del salone, il 23 maggio

Nella tarda antichità, intorno al IV secolo, il solidum era una moneta, in origine d’oro, il cui valore avrebbe dovuto mantenersi stabile e inalterato nel tempo. In seguito, nel Medioevo, si formarono eserciti di combattenti professionisti, che prestavano servizio dietro un pagamento chiamato “soldo” e divennero quindi noti come soldati. Abbiamo iniziato con la fraternità e siamo arrivati alla guerra… disorientante, vero? Proprio quella guerra che non sappiamo spiegarci e che, nei nostri discorsi quotidiani, si è sostituita alla pandemia. E in questo senso, dando spazio alla sua vocazione di laboratorio di riflessione e approfondimento, il Salone ha voluto prevedere una vera e propria Casa della Pace, proprio come John Lennon, che nel 1975 cantava «Give peace a chance». Ma il Salone appena concluso è stato importante anche come luogo della memoria, in un anno di importanti anniversari: il centenario dalla nascita di Pierpaolo Pasolini, così come il trentennale dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, che è caduto proprio il lunedì di chiusura del Salone, il 23 maggio. Entrambi questi anniversari hanno trovato ampio spazio nelle sale del Salone e, per quanto riguarda Pasolini, anche in ragione del fatto che il Friuli Venezia Giulia è stata la regione ospite di questa edizione. E infine, la sostenibilità e l’attenzione all’ambiente: uno degli spazi più ammirati e apprezzati è stato il Bosco degli Scrittori. Un’area di oltre 200 metri quadri, più di 1000 alberi, piante e arbusti dove leggere, partecipare a presentazioni e dibattiti, immergersi nel verde. Uno spazio per incontri e un vero e proprio anfiteatro vegetale, con sedute realizzate con tronchi di recupero e circondato da alberi ad alto fusto. Concludo con il “claim” più gettonato: se è vero che leggere può creare “indipendenza” è altrettanto vero che il Salone crea “dipendenza”.