Torino, estate 2020
Un cronista medievale, durante un servizio in un cantiere di una cattedrale, chiese ad alcuni muratori presenti cosa stessero facendo. Il primo gli rispose: «Sto alzando un muro»; il secondo: «Guadagno da vivere per me e la mia famiglia »; il terzo: «Sto costruendo una cattedrale». Stesso luogo, stesso contesto, ma diversa consapevolezza e, quindi, diversa visione del proprio stato. La volta scorsa abbiamo detto come, già nel prossimo futuro, la città vivrà profondi cambiamenti: strutturali, con la nascita di nuovi oggetti che andranno a popolarla, e funzionali, con l’irrompere di nuovi modi di viverla, nel tempo e nello spazio. Sappiamo già che inevitabilmente non tutti questi cambiamenti saranno ispirati dall’intelligenza: ingenuità, opportunismo o stupidità si alterneranno nel governo delle scelte via via individuate.
Per aumentare l’incidenza statistica dell’intelligenza dovremmo provare a fare ampio e frequente ricorso alla sua dimensione collettiva. Si tratta, volendo esemplificare, di sfruttare l’effetto gregge, il cui significato abbiamo, nostro malgrado, imparato negli ultimi mesi, nell’ambito del governo della cosa pubblica: quanto più ci sarà consapevolezza delle difficoltà che accompagnano la costruzione di una decisione condivisa, tanto più il faticoso concorso di singole intelligenze faciliterà la ricerca di soluzioni adeguate al raggiungimento dell’obiettivo comune.
Una visione di città che supera il livello fisico e mentale, per andare a toccare quello, oserei dire, spirituale: non solo residenti, non solo cittadini, ma anche interpreti della città
È questa una visione di città che supera il livello fisico e mentale, per andare a toccare quello, oserei dire, spirituale: non solo residenti (ci abito), non solo cittadini (ci vivo), ma anche interpreti della città (la costruisco). Una visione della vita in comune che punta molto sull’inclusione della popolazione nei processi decisionali. A Torino avevamo iniziato già con SMILE (il piano strategico per una città smart datato 2013) e abbiamo continuato con CO-CITY, il progetto innovativo di promozione della gestione condivisa dei beni comuni, finanziato dalla Comunità Europea con oltre 5 milioni di euro nell’ambito del programma europeo Urban Innovative Actions (UIA).
L’intuizione del progetto è semplice: riqualificare beni immobili e spazi pubblici in condizioni di degrado, o utilizzati solo parzialmente, attraverso la stipula di patti di collaborazione tra l’amministrazione e i cittadini. I fondi europei, dunque, non sono stati impiegati direttamente per riqualificare alcuni oggetti della città, ma per creare percorsi virtuosi di promozione della cittadinanza attiva da impiegare nel contrasto al degrado delle aree più fragili della città. Solo la storia potrà dirci se questo progetto è stato dettato da una retorica opportunistica, oppure da una visione ‘disruptive’ della partecipazione democratica alla gestione dei beni comuni.
Anche in questo caso, la tecnologia può giocare un ruolo importante: con i social network, pur con tutte le loro degenerazioni, ci siamo abituati a condividere spazi che credevamo sacralmente confinati nella sfera privata; con il crowdfunding abbiamo scoperto come partecipare facilmente con il nostro denaro a progetti vicini al nostro vissuto quotidiano; da poco le videoconferenze ci hanno iniziato ad appuntamenti partecipati attivamente, istituzionali o aziendali che siano. Queste esperienze possono essere delle formidabili palestre per il passo più importante, la creazione di un’intelligenza collettiva, unica strada possibile che ci conduca a una democrazia diretta veramente efficace. Proviamo a partire dai nostri condomini: hai visto mai che riusciamo ad arrivare a Palazzo di Città?