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Torino, Estate 2022
Londra? Tante cose, ma il Tower Bridge, la Regina Elisabetta con l’outfit rosa, i cori all’Emirates, la pinta in un pub in piedi al bancone sono «musica senza parole», come cantano gli Eugenio. Lo stesso per Parigi: il Café de la Paix, la piramide del Louvre in un giorno di vento, i bouquiniste che si specchiano nella Senna. E New York? La metropoli verticale che ti fa camminare col naso per aria, le steak di Gallagher’s, un concerto al Blue Note… Ogni metropoli ha le sue immagini, globali o personali (perché ognuno ci mette del proprio), fotografie dell’attimo, persone, canzoni, pensieri che in un istante ti dicono dove sei. Vi sto parlando dell’identità e della fierezza, ciò che rende indimenticabili quegli spazi urbani vissuti, viventi e vitali che sono le città. Soggetti in divenire, per metà affondano le radici nella storia e per il restante affiorano ogni giorno, aggiungendosi, persino a gomitate, al già conosciuto. L’identità e la fierezza sono immediatamente percepite dai visitatori, contenuti imprescindibili per ogni viaggio, ma anche presupposti indispensabili per scegliere una meta dove vivere, lavorare o studiare. Ma tutto funziona solo se sono i residenti a crederci per primi, a identificarsi, a esibire quel senso di appartenenza di fronte a chiunque e comunque. Sotto questo aspetto, Torino merita di più e di meglio, ci ostacola un proverbiale understatement, quell’imbarazzante “esageruma nen” che vorrei cancellare dal vocabolario, quell’immobilismo ancestrale che cozza con la voglia di nuovo, propulsore primario di ogni audace spirito metropolitano. A questo aggiungiamo una pericolosa propensione al piagnisteo, al soppesare il bicchiere mezzo vuoto come se la parte colma non esistesse. Se la bellezza è sotto i nostri occhi e la città ha ripreso a macinare eventi ed opportunità, la nostra storia può mettere insieme, in un mix anche azzardato: Juvarra e Pietro Micca (i francesi gli avrebbero dedicato festival e film, noi neanche una produzione di Rai 3), Cavour e il Risorgimento tutto (vogliamo finalmente celebrarlo? Alla faccia dei neoborbonici negazionisti), il Grande Torino e Omar Sivori, Agnelli (semplicemente il più grande imprenditore della storia nazionale) e Italia ʼ61 (che abbiamo frettolosamente dimenticato), le Olimpiadi e i Subsonica.
Ogni metropoli ha le sue immagini, persone, canzoni, pensieri che in un istante ti dicono dove sei. Vi sto parlando dell’identità e della fierezza, ciò che rende indimenticabili quegli spazi urbani vissuti, viventi e vitali che sono le città
Fierezza e identità non sono il regionalistico pride per storici e filologi, ma capacità di risvegliare, di raccontare, di portare l’antico e il nuovo a braccetto, di creare un mood efficace che sia “Torino”. Gli strateghi del marketing la chiamerebbero brand reputation, ed è un lavoro, prima psicologico e poi strategico. Perché occorre far vedere – sentire, ascoltare… – ciò che è davvero bello, scegliendo, escludendo, imparando ad amare ciò che ci circonda. Torino ne ha bisogno sempre, non solo quando si accende per Eurovision, ATP o altri eventi comandati. Nelle città con fierezza e identità, l’evento è ogni giorno che ci si sveglia. Torino Magazine crede in questo concetto da 34 anni, perché le parole “appartenenza” e “identità” sono le prime del nostro vocabolario. Abbiamo sempre accompagnato la città e qualche volta abbiamo indicato la strada. Sempre abbiamo fatto vedere quello che ci sembrava giusto far vedere, e conoscere e amare. Come in questo numero, dove abbiamo sfidato i nostri tre (grandi) fotografi a farci osservare la città (luoghi e personaggi) coi loro occhi, avvicinando Torino al mondo, in un confronto dove non abbiamo niente da perdere, metropolitani sempre, provinciali mai. E poi in cover ci sono gli Eugenio in Via Di Gioia, la band col cuore che batte con la città, la nostra band. A me fanno pensare a Buscaglione, agli chansonnier e alla sfrontatezza yéyé degli anni Sessanta, ma in certi momenti mi commuovono e fanno riflettere. Nel progetto Fierezza & Identità sono perfetti, perché a Torino serve sempre una canzone. E loro, di belle, ne hanno tante.