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Torino, Primavera 2022
È tempo di pulizie di primavera, ma io no. Io non ce la faccio a pulire a fondo, ho anzi il sospetto che casa mia non ce l’abbia un fondo, che sia un buco nero producente polvere. Ma di cosa è fatta la polvere esattamente? Lo cerco su Google. Di particelle. Ma particelle di cosa? Nella notte c’è stato forse un combattimento tra jedi nel mio salotto, si sono annientati a vicenda a colpi di spade laser? Perché solo così si spiega il quantitativo di pulviscolo che riescono a collezionare le superfici del mio appartamento. Non è solo la polvere il problema, il problema è anche la mia incapacità di far fronte ai panni da stirare. La pila di roba è così alta che si è trasformata in un golem, un’entità che qualche mese fa si è emancipata, è
uscita dalla cesta in lavanderia e si è presa il suo spazio nel lettino di mia figlia minore, tanto lei dorme con noi. La camera dei ragazzi è un mercatino delle pulci, nel senso che le pulci ci hanno aperto un mercatino, fanno una cosa bizzarra i miei coinquilini bassi, prima di dormire lanciano le calze in giro per la camera, perché lo facciano non lo so, ma finisco per trovare pedalini anche sul lampadario e soprattutto per ricomprarne continuamente perché sono spaiati in modo cronico.
Resta che amo la primavera, non fosse per quel piccolo effetto collaterale che c’è il sole e le giornate si allungano. Che significa più ore a illuminare la vergogna dei vetri sporchi, un florilegio di ditate, un tripudio di manate. Da mesi dico: devo fare il cambio della borsa. Svuotare la borsa invernale e optare per una di pelle più leggera. Ma ho paura dell’operazione, la mia borsa è mutata geneticamente per eccesso di utilizzo, inghiotte qualunque cosa: biscotti dei bambini, assorbenti, penne biro, case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale, una borsa con l’idraulico liquido incorporato. L’ultima volta che c’ho buttato dentro le chiavi ha detto «Wyoming» ruttando.
Se c’è una cosa veramente riposante della bella stagione, è che si può stare fuori tutto il giorno e tornare che è buio, pesto, dimenticando la polvere, le ditate e usando i panni da stirare come coperta.
La trousse non sta meglio. Il fondo presenta una stratificazione di matite per gli occhi, mascara, ombretti, correttori, copriocchiaie, tre o quattro campioncini di fondotinta trovati nelle riviste, un paio di pinzette. Nessuna marca è più visibile perché il temperamatite ha perso il suo contenitore e i trucioli di legno e grafite si sono sparsi ovunque, imbrattando ogni superficie. Ogni volta che mi trucco è come mettere una mano in una cava di carbone. Chiudo con la vera vergogna, l’apoteosi della mia sciattezza: il frigorifero. Premetto che mi muovono le migliori intenzioni, così cucino, poi infilo tutto al fresco in contenitori e mi riprometto di portarli in ufficio l’indomani o propinarli per i pranzi della
prole. Non li porto in ufficio l’indomani, né l’indomani dell’indomani dell’indomani. Dimentico il tupperware per due settimane nel frigo, il frigo ci fa il découpage inglobandolo nella parete interna. Alla terza settimana avviene il ritrovamento del tupperware mummificato come Ötzi nei ghiacci del Sud Tirolo. Ho paura delle esalazioni e butto tutto insieme nella pattumiera. Finite le pulizie di primavera. Anche perché, se c’è una cosa veramente riposante della bella stagione, è che si può stare fuori tutto il giorno e tornare che è buio, pesto, dimenticando la polvere, le ditate e usando i panni da stirare come coperta.