Torino, autunno 2020
Nelle precedenti puntate abbiamo visto come una città è intelligente quanto più sono intelligenti i suoi amministratori e cittadini, e che l’intelligenza di ogni azione si misura in base agli effetti che essa ha sull’autore e sugli altri. La volta scorsa, infine, abbiamo individuato un modo per allenare l’intelligenza collettiva, attraverso la cura dei beni comuni. Qui voglio soffermarmi sul dialogo tra amministratori e cittadini e capire se, e in che modo, esso influisce sulla realizzazione di una città intelligente. È indubbio che l’utilizzo dei canali social ha moltiplicato le occasioni di contatto tra la città, intesa come istituzione, e il cittadino, ma come spesso capita la quantità non supplisce alla qualità nemmeno in questo campo, anzi proprio qui più evidenti possono essere i rischi. Uno dei paradigmi fondativi dell’idea di smart city, infatti, risiede proprio nel diritto dei cittadini di avere accesso a dati, documenti, informazioni, servizi, con modalità semplice e immediata, che ispiri fiducia e che consenta un rapido riscontro dell’operato della pubblica amministrazione.
Invece non è raro imbattersi in formule verbali che hanno l’unico fine di rendere volutamente oscuro il significato delle parole, con l’immediata percezione da parte del cittadino di essere scientemente tenuto nell’ignoranza. Chi governa la vita altrui dovrebbe essere sempre consapevole che quanto a lui può sembrare un trascurabile dettaglio informativo, per il cittadino può invece essere essenziale, con conseguenze importanti sul suo benessere quotidiano: costringerlo a una coda senza avergli dato prima tutte le informazioni del caso rischia di esporlo a un disagio inutile, solo all’apparenza trascurabile, ma che magari ha comportato sacrifici rilevanti nell’organizzazione della sua giornata. Questa superficialità viene giustamente percepita come mancanza di rispetto, che ovviamente non può che indurre sentimenti analoghi nel cittadino verso l’amministrazione. E questo è prodromico a sfiducia e comportamenti irregolari o addirittura illeciti. E che dire di quei dipendenti comunali che, con il loro comportamento sprezzante e irriverente, mortificano le persone spesso più deboli e indifese?
La cura della città verso i suoi cittadini si misura con la qualità delle parole con cui la città comunica, sia dal vivo sia in rete
Dimenticando che sono la faccia con cui la città parla con i suoi cittadini. E vogliamo parlare della propaganda, spesso camuffata da informazione di servizio, che non produce altro che assuefazione all’indifferenza? Capite bene che tutto questo condiziona fortemente il sentimento collettivo di sentirsi parte attiva di una comunità intelligente. La cura della città verso i suoi cittadini si misura con la qualità delle parole con cui la città comunica, sia dal vivo sia in rete. Anche in questo caso, dunque, dobbiamo convenire che, prima dell’intelligenza, deve arrivare il buon senso: nella smart city la formazione di abitanti intelligenti passa per la gentilezza con cui la città tratta i suoi cittadini. Per estensione, possiamo affermare che anche l’intelligenza della città passa per la gentilezza del linguaggio dei suoi abitanti e di chi si candida a guidarli.
Sono concetti su cui la Città di Torino ha preso pubblica posizione aderendo al manifesto della comunicazione non ostile, promosso dall’associazione non profit Parole O_Stili. Nato per responsabilizzare ed educare gli utenti della rete, si può dire che il manifesto sia un invito universale a comunicare in maniera gentile, e non solo in rete. Un plauso dunque alla nostra Città per l’adesione: promuovere una consapevolezza diffusa delle responsabilità individuali nell’uso del linguaggio è un aspetto nient’affatto irrilevante nella costruzione della città intelligente. Ma che non ci si fermi alla firma di un manifesto e si vigili sui comportamenti a tutti i livelli, perché è cosa tutt’altro che intelligente disperdere il patrimonio di fiducia costruito con anni di duro lavoro.