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LE SORPRENDENTI SUGGESTIONI DEL BELGIO FRANCOFONO: WATERLOO, IL PIÙ BEL MUSEO AL MONDO DEDICATO AL FUMETTO, LA PATRIA DI CHI INVENTÒ IL SASSOFONO, ANTICHE CITTADELLE, PIAZZE DALLE ARCHITETTURE FIAMMEGGIANTI, IL LUOGO DOVE NACQUE GOOGLE… CENTO ANNI PRIMA DI GOOGLE
Chissà se Napoleone Bonaparte, all’alba del 18 giugno 1815, poco prima della battaglia di Waterloo, quando pronunciò la frase “Abbiamo novanta probabilità su cento” (non certo un felice presagio), aveva la consapevolezza di trovarsi esattamente nel centro d’Europa. Quel continente che aveva conquistato per poi perderlo, e che ora stava tentando di conquistare nuovamente.
La storia nega ogni casualità, e una delle più grandi battaglie mai combattute non poteva che celebrarsi in Wallonie (in italiano Vallonia, ndr), dove se piantiamo un compasso tracciando un grande cerchio, notiamo in piena evidenza l’assoluta centralità di una regione piccola, di soli 16.844 chilometri quadrati (il Piemonte ne ha 25.387), ma bellissima, dipinta dal verde smeraldo di prati e foreste, solcata da argentei fiumi serpeggianti, con la maggior concentrazione di castelli d’Europa, punteggiata da centri d’arte vivibili e qualche volta maestosi, dove si mangia bene e si beve ancora meglio, con birre dal medioevo entrate nella leggenda. Ottimi sapori di una ricerca che parte dai prodotti più genuini del territorio, e orgoglio per la tradizione, come nel caso delle onnipresenti “friteries”, dedicate alle frites, le patatine a bastoncino nate da queste parti.
Ma la Wallonie ha dato anche i natali alla genialità, eccentrica e sorprendente, di personaggi che hanno segnato la storia della scienza e delle arti. La sua posizione, e la mancanza di confini naturali, ha concesso spazio a una storia a volte cruenta, ricca di episodi e dinastie, con influenze che si sono susseguite attraverso duemila anni, dall’epoca romana in poi. Così sono andate in scena le tribù germaniche e le legioni di Cesare, i franchi (merovingi e carolingi), i duchi di Borgogna e gli Asburgo di Spagna, di nuovo i francesi e infine gli olandesi.
Poi, nel 1830, nasce il Belgio, con le sue due anime, fiamminga e vallona. Unità sostanzialmente federale, che esiste tuttora, attraverso complessi equilibri istituzionali. Cerniera d’Europa, la Wallonie dimostra evidente fierezza per un passato strategico, che ha riempito i libri di storia: quando i suoi signori alzavano le saracinesche la rotta maestra tra Francia e Germania si interrompeva di netto, in attesa degli eventi. Forse stanca di tanti appuntamenti col destino, oggi questa è una terra tranquilla, dove nessuno ha fretta, assai propensa all’accoglienza, ideale per un turismo di scoperta e di ricerca, lontanissimo dalle frenesie metropolitane.
Il nostro viaggio inizia, simbolicamente, proprio dal sito della battaglia di Waterloo, tappa imprescindibile per ogni amante di storia. Ora, rendere comprensibile, e magari affascinante, un campo da battaglia non è certo impresa facile. Perché il rischio è quello di trovarsi di fronte a un grande prato, e magari qualche collina, niente di più. Ma i valloni sono riusciti nell’impresa, creando uno scenario emozionante, storicamente attendibile ed esplicativo, tecnologicamente avanzato e ricchissimo dal punto di vista dei reperti esposti.La località è dominata dalla Butte du Lion, aguzza collina artificiale alta 40 metri, dove “ruggisce” la statua del grande leone, emblema della vittoria delle monarchie alleate. Venne fatta erigere da Guglielmo I nel 1826, la sua sagoma domina la pianura circostante ed è il più evidente richiamo per raggiungere il luogo della battaglia.
A poche decine di metri si trova il Musée du Memorial, che è un vero capolavoro. Ci si immerge in una scenografia narrativa e multisensoriale, che accosta preziosi reperti (armi, divise che rivestono manichini, bandiere…) a scenari dettagliatissimi, arricchiti con effetti speciali. L’impressione è quella di procedere in un mondo di fantasmi, dove nelle riproduzioni dei quadri si alza il fumo e si muovono i soldati, dove veniamo circondati dai rumori della battaglia, dove l’ultimo combattimento ci viene restituito con un filmato 4D, dal realismo mozzafiato.
Altrettanto sorprendente è Le Panorama, edificio circolare dove trova posto la tela realizzata nel 1012 da Louis Dumoulin. Coi suoi 110×12 metri è il più grande dipinto militare al mondo. La sua esposizione è circolare, coi visitatori che osservano il capolavoro da una torretta centrale.
Ecco, non conoscevate nulla o quasi della battaglia di Waterloo? Dopo una visita al Domaine de la Bataille, questo il nome del sito, sarete conquistati anche voi dall’epopea napoleonica. E scriviamo così perché è l’unico caso nella storia dove lo sconfitto, Napoleone, è universalmente più amato di coloro che lo sconfissero. La storia dell’ultima tappa militare dell’Imperatore resta beffarda, con le sue truppe vicine alla vittoria e poi battute dall’arrivo dei prussiani a tempo quasi scaduto. Se fosse andata diversamente oggi la seconda lingua del continente sarebbe probabilmente il francese, con la lingua di Albione confinata tra le sue isole.
Waterloo è una pagina di storia che va ben oltre lo scontro armato, del quale non abbiamo ancora oggi un conteggio preciso delle vittime. Furono probabilmente 40.000, fatte sparire in fosse comuni per evitare epidemie. La loro sepoltura ha purtroppo un risvolto orribile, nel 2022 resi noto che le ossa di molti soldati vennero riesumate e utilizzate come polvere per lo zucchero. A testimonianza del mito perpetuo di una parola, di un luogo, di un evento bellico, segnaliamo la curiosa esposizione Waterloo, che non celebra la battaglia, ma l’omonima canzone degli Abba, che vinse l’Eurofestival nel 1974, giusto cinquant’anni fa.
Tappa successiva il Musée Hergé di Louvain-la Neuve, cittadina creata dal nulla per ospitare l’omonima università. In Italia neanche per Dante Alighieri abbiamo mai concepito una simile struttura dedicata a un singolo artista. Il volume del museo, consacrato all’autore di Tintin, emerge da una zona alberata ed è un prisma allungato con una facciata bianca, che rafforza la sensazione di leggerezza dell’edificio, e ampie vetrate che rimandano le vignette. Il complesso è collegato al resto delle città da una passerella. All’interno una vasta area reception ospita i quattro (uno sopra l’altro) volumi dedicati all’esposizione. I colori utilizzati – giallo, verde, salmone e quadri in bianco e nero – sono arricchiti da disegni astratti e costituiscono un omaggio simbolico alle avventure di Tintin. Il percorso espositivo, 3.800 metri quadrati complessivi, si dipana su tre livelli di conoscenza dell’artista, da principiante a “Tintinologo”, dove si possono ammirare disegni, filmati, fumetti e fotografie. Ludici e fantasiosi gli allestimenti.
Dopo la visita ci si confronta con una certezza: il capolavoro dell’architetto francese Christian de Portzamparc è il miglior museo al mondo dedicato al fumetto. Ma a noi Louvain-la-Neuve non è piaciuta per una sola ragione. Questa è una città universitaria costruita da zero nei primissimi anni Settanta, quando dall’ateneo fiammingo di Louvain vennero allontanati gli studenti francofoni. L’urgenza portò diversi architetti e urbanisti a confrontarsi sul tema dell’innovazione, e il design urbano si ispirò alle città italiane del medioevo. Oggi il colpo d’occhio presenta spazi ben concepiti – la Grand Place, la Place de l’Université, le vie pedonali e ciclabili, gli edifici universitari – dove il tema dei mattoni rossi a vista domina la tavolozza cromatica. La vivacità è quella di un colossale ateneo, con oltre ventimila studenti su trentamila abitanti.
Perla del turismo fluviale vallone, Dinant sembra concepita per la bellezza. Una bellezza “ben disposta”, con due sequenze di case colorate che si affacciano dai lati opposti della Mosella, con la trecentesca chiesa di Notre Dame e la sua vetrata celeste, tra le più grandi di tutta Europa, col ponte Charles de Gaulle, decorato dai sax che ricordano il cittadino più celebre. Già, perché in questa cittadina fiabesca di 13.143 abitanti nacque nel 1814 Antoine-Joseph Sax, detto Adolphe, ideatore di uno degli strumenti che rivoluzionarono la storia della musica universale, imponendosi nella classica, nel pop, nel rock e soprattutto nel jazz. Qualche nome da ricordare: Charlie Parker, Sonny Rollins, Jan Garbarek, Gato Barbieri, Stan Getz, Clarence Clemons, l’italiano Gianni Basso… Oggi decine di sax coloratissimi alti tre metri arricchiscono il contesto del centro storico con un pizzico di follia. I primi vennero eretti nel 2010 per celebrare l’Unione Europea, poi se ne aggiunsero altri, come testimonianza del mondo intero.
Per ammirare Dinant a volo d’uccello la soluzione ideale prevede di salire alla Cittadella, edificata nel 1040 sullo sperone roccioso che domina la città. Cento metri per un balzo verso il vuoto, e tutta Dinant sotto i vostri occhi, esposta come un’antica mappa. Per un soggiorno immerso nel verde della Wallonie consigliamo il Castel de Pont-à-Lesse. Siamo a pochi minuti d’auto dal centro storico, ma il contesto muta radicalmente: il verde della foresta domina il panorama, la natura si riprende i suoi spazi e i suoi silenzi (se siete fortunati incrocerete i cervi della tenuta), una tortuosa stradina porta alla meta. L’hotel è ricavato nel castello ottocentesco, e mette a disposizione grandi camere accoglienti, sale comuni, verande e boiserie, ristorante, una bella piscina riscaldata. Personale cortesissimo, che rimanda a un’accoglienza fuori dal tempo.
E ora due tappe gourmand a Dinant, fortemente caratterizzate dai sapori del territorio. Le Confessional è il regno dello chef Philippe Berard: sapori ancestrali, ricette recuperate dalle “grand mere” e dalle famiglie del posto, eccellenze scovate con minuzia dai migliori produttori locali. In carta, sempre, spalla d’agnello, sanguinaccio, tête de veau, lingua… e altre meraviglie ascritte al capitolo frattaglie. L’ambiente è un viaggio nel tempo, tra oggetti, quadri e attrezzi di cucina rigorosamente d’antan. Le Jardin de Fiorine si trova sulla riva della Mosella ed è seminascosto da un portone piuttosto ordinario. Ma, superato l’ingresso, si scopre una bella casa padronale del 1855 con giardino. Lo chef Jean-Luc Henroteaux propone una cucina del posto di assoluta eccellenza, reinterpretata e alleggerita. Assai apprezzabile il menu “Iniziazione alla gastronomia”, concepito per coinvolgere i più giovani ai piaceri della buona tavola. Vi avevamo accennato alla composta tranquillità dei valloni, ecco, questo concetto si esprime pienamente a tavola: coppie e gruppi di amici accomodati in piena serenità, anche perché è praticamente impossibile alzarsi prima di due ore. Noi abbiamo atteso, ad esempio, un semplice antipasto quaranta minuti. Niente di grave, basta saperlo, e programmarlo. Sono ritmi che fanno parte di un modo specifico di accettare la vita, in cui si privilegia lo slow in ogni sua forma, con pieno godimento del tempo che passa, soprattutto se dedicato ad attività edonistiche. Difficile pensare che abbiano torto.
E ora Namur, 110.632 abitanti, la capitale della Wallonie, romanticamente posta alla confluenza tra la Mosella e la Sambre ci racconta duemila anni di storia, sovente segnata da cruente vicende militari. Una bella città col centro storico intatto, dove sono molti gli edifici in mattoni rossi a vista. Così, come in molti altri centri della Wallonie, si ha la sensazione di trovarsi in Gran Bretagna, per queste architetture domestiche, e in Francia, per la lingua e l’art de vivre. Namur è dominata dalla sua cittadella, di epoca romana, poi ricostruita e adattata col passare dei secoli. Oggi si raggiunge con una spettacolare funivia ed è suggestiva location per eventi, concerti e spettacoli teatrali. Colta e raffinata nelle sue proposte culturali, la città conta dieci musei, che spaziano dall’informatica all’arte antica.
Il nostro preferito è il seducente, ma più che altro sulfureo, Musée Félicien Rops, che prende il nome dal più trasgressivo artista locale, vissuto tra il 1833 al 1898. Anticipatore del fumetto, del manga e della più cruda arte mitteleuropea, Rops inizia la sua carriera con opere satiriche e caricaturali, per approdare ai temi del macabro, del sesso esplicito, dell’anticlericalismo e del satanismo. Il tutto realizzato con eleganza stilistica senza pari e sorprendente eclettismo: disegni, acquarelli, grafiche, dipinti a olio. La sua opera più celebre ritrae una donna nuda e bendata, con un maiale al guinzaglio, accompagnata da tre angioletti volteggianti.
Scendendo a piedi dalla Cittadella, merita senz’altro una tappa l’atelier della Parfumerie Delforge. Consigliata la visita nell’edificio che la ospita, ricavato direttamente nei bastioni. Spenderete assai bene un’ora del vostro tempo per comprendere come nasce un profumo, dalle sue materie prime naturali alle preziose essenze che se ne ricavano. Arte antica e manualità, fantasia e rigore nei processi produttivi, questa oggi è una delle migliori realtà europee del settore. Delforge ha una clientela di estimatori, che comprano solo in loco oppure online, non è prevista nessuna distribuzione in profumeria. La visita si conclude provando questi eterei capolavori, impossibile resistere alla tentazione dell’acquisto.
Ed ora le nostre due tappe gourmet di Namur. La prima è al Bistro Bisou, in pieno centro, a pochi isolati dal Museo Rops. Atmosfera vivace e conviviale, eccellenti birre spillate di fronte a voi e alcune golose suggestioni locali, come le croquettes, coi minuscoli gamberetti di fiume, o le polpette di carne, con quattro differenti tipologie di salse. Chi avesse nostalgia della nostra cucina può ordinare la carne italiana (ottima in tartare), oppure la pasta fresca fatta in casa. Sorprendente Wallonie! Si esce, si attraversa la strada, e ci si immerge in una minuscola cioccolateria, Pralinez Moi, dove la sorpresa è in agguato. Romain Detré, 25 anni, è un genio. Le sue praline, fatte a mano, una per una, sono gioielli edibili, con dieci diverse variazioni: caramello, lampone, fragola alla vaniglia del Madagascar, fior di rosa, mango, fava d’oro, zenzero, ananas e cardamomo, London Earl Grey, fiore di violetta.
Intorno all’anno 450 Tournai (oggi 69.554 abitanti), bella città sulle rive della Schelda, la più antica della Wallonie, divenne la prima capitale dei Merovingi e, di conseguenza, la prima capitale di Francia. Oggi il suo passato religioso e nobiliare si rivede in un centro storico di evidente impatto medioevale. Il Beffroi (72 metri) è la torre civica più antica del Belgio, iscritta al Patrimonio Mondiale dell’UNESCO come la maestosa cattedrale di Notre Dame, detta “dei cinque campanili”, vertiginose torri verso il cielo alte 83 metri. La costruzione del monumento durò talmente a lungo che si nota l’impronta di tre stili: romanico, gotico e protogotico. Di grande impatto la Grand Place, celebre per l’inconsueta forma triangolare. Il momento più magico per ammirarla è quello della luce blu, quando il cielo cambia colore mentre le luci della piazza si accendono.
A questo punto il nostro viaggio punta verso i due castelli più celebri della regione: le Château de Beloeil, la Versailles belga, e Vêves, il maniero medioevale per eccellenza. Ma prima una sosta in trattoria, ma che trattoria! Una di quelle da non dimenticare assolutamente programmando il viaggio. E prevedendo almeno un paio d’ore di sosta. Ma questo ve l’ho già spiegato… Il nostro avamposto del gusto si chiama Taverne Saint-Géry, ed è sostanzialmente un minuscolo villaggio (avete presente quello degli hobbit?) a dieci minuti d’auto da Beloeil, nel cuore del Parc Naturel des Plaines de l’Escaut, tra praterie ingoiate dall’orizzonte fino all’infinito. Qua sembra che tutti si conoscano (e forse è proprio così), il menu, buonissimo, probabilmente non è mai cambiato negli ultimi cento anni: così il rigore della tradizione non è una scelta, ma un obbligo autoimposto. Se il cielo propone una di quelle giornate dove il vento scompiglia le nuvole ed esalta i raggi del sole, potreste pensare che il paradiso è qui, nel centro esatto d’Europa.
Il castello di Beloeil, coi suoi giardini alla francese (25 ettari di parco), e il grande specchio d’acqua, offre le prospettive di un rinascimento belga non poi così lontano – nelle architetture e nelle scelte estetiche – da quello francese di Versailles e della Loira. Quando lo si ammira dall’esterno il cinematografico maniero di Vêves ci trasporta risoluta mente in un medioevo di assedi e battaglie, di misteri e di intrighi, forse anche di streghe e sortilegi. Issato su un colle, circondato dalla foresta, sembra sia stato ultimato ancora ieri e invece ha ottocento anni. All’apparenza pare inespugnabile ma, per singolare contrasto, presenta un interno elegante e ricercato, merito delle scelte di Luigi XV di Francia. Ambivalenza architettonica dunque, col cuore severo e gentile, figlio del Rinascimento, protetto da bastioni pronti a fronteggiare ogni esercito ostile.
Dai castelli il nostro sguardo passa ai giardini, quelli fatati di Annevoie, tra Namur e Dinant. Creati 250 anni fa sono particolarmente teatrali, e tutto quel disegno di siepi, specchi d’acqua, laghi e fontane sembra nato apposta per ospitare commedie e concerti, Shakespeare e Lully, in un continuo gioco di incanti e incontri. Aggiungiamo, che i giardini sono gestiti all’insegna della più assoluta sostenibilità: i giochi d’acqua non prevedono macchinari e vengono alimentati seguendo i progetti originali. Inoltre, dal 2015, per rispettare la fauna e la flora di Annevoie, i lavori sono eseguiti in modo naturale e biologico, senza alcun prodotto fitosanitario.
La visita a Mons inizia nel rispetto di un antico rito: si percorrono le vie del centro medioevale per sbucare nella Grand Place, fulcro della vita cittadina, con l’ininterrotta sequenza di locali e birrerie lungo tutto il suo perimetro. Si punta dritto il municipio per trovare quello che si cerca: il singe du Grand Garde, la piccola statua in ghisa (realizzata a metà ottocento, da chi non si sa), raffigurante per l’appunto una scimmia, con la mano sinistra sollevata. Accarezzarle la testa porta fortuna, convinzione assai radicata tra nativi e viaggiatori.
Ecco, ora siamo pronti ad esplorare una delle capitali culturali del Belgio, che lo fu anche dell’Europa nel 2015. Mons va scoperta con calma, e va studiata prima con una certa attenzione, perché cela i suoi segreti, che si rivelano solo se abbiamo occhi attenti. La Grande Place, con le sue facciate fiammeggianti, e l’Hôtel de Ville, si rivelano facilmente da sé, ma dopo inizia l’esplorazione. La vista migliore del centro storico si ottiene salendo (ascensore o scalini) dal seicentesco Beffroi (la torre civica, l’unica barocca del Belgio) che domina l’abitato coi suoi 87 metri di altezza. La fede degli abitanti di Mons si coglie invece nei grandi spazi dell’incompiuta collegiata di Sainte Waudru, la patrona. All’interno splendide statue e sculture di alabastro, ma anche il carro d’oro utilizzato durante la processione del Doudou di Mons. Già il Doudou, mirabolante rito medioevale che si celebra da 657 anni il 31 di maggio. Nel cerimoniale, un carro con le reliquie della santa chiude il corteo in costume che raggiunge la Grand Place. Qui, di fronte alla folla, avviene il combattimento detto Lumeçon, dove si affrontano San Giorgio e il drago. Questa eterna lotta tra il bene e il male ha meritato il riconosci mento come Patrimonio Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO. Al Doudou, che poi sarebbe la colonna sonora dell’evento, è dedicato un museo: l’occasione migliore per vedere foto e filmati di questa irresistibile follia popolare.
La vita culturale di Mons è attiva tutto l’anno, con mostre, concerti ed eventi. A questo proposito va segnalato l’appuntamento clou dell’anno: l’esposizione Rodin, un rinascimento moderno, al Museo delle Belle Arti fino al 18 di agosto. Si tratta di una formidabile immersione nell’arte del massimo scultore della sua epoca. Sono proposte duecento opere dell’artista, con alcuni dei suoi capolavori iconici. L’allestimento, per luminosità e spazio, esalta le statue, permettendo di osservarle da differenti punti di vista. Una mostra che, da sola, giustifica il viaggio. E siamo arrivati al momento del Mundaneum, la massima scoperta culturale e umanistica del nostro percorso. Questo istituto, che è anche museo visitabile, raccoglie oltre sei chilometri di documenti che rappresentano il primo, e formidabile, repertorio iconografico universale. Concepito dalla mente visionaria di Paul Otlet, riconosciuto come uno dei padri di internet, ed Henri La Fontaine, premio Nobel per la pace. Obiettivo di questo immenso lavoro, interamente scritto a mano, con quattrocentomila schede accuratamente catalogate, era quello di fornire le coordinate (bibliografiche) per ogni possibile attività del genio umano: letteratura, storia, medicina, architettura, scienza nelle diverse discipline… Il presupposto, filosofico ma soprattutto politico, era che la felicità e l’affermazione dell’individuo potesse passare solo attraverso la cultura. Utopia che precorre i tempi, una Google di carta 100 anni in anticipo su quella odierna.
Si percorrono silenziosamente corridoi affacciati verso la grande sala centrale, dove un immenso globo luminoso, sospeso dal soffitto, ruota su se stesso. Da rue de Nimy 76 non si vorrebbe più uscire. Sarà per la parentela con questo luogo che Google ha deciso di collocare uno dei suoi data center proprio nelle vicinanze di Mons? Forse si, e non è certo un insediamento qualunque, trattandosi del primo data center Google al mondo a funzionare completamente senza refrigeratori meccanici ad alto consumo energetico. E siamo all’anima contemporanea della città.
Oltre alla multinazionale americana di tecnologia specializzata, Mons ospita, dal 1967, il Supreme Headquarters Allied Powers Europe della NATO (abbreviato in SHAPE, ndr), praticamente il cuore pulsante dell’Alleanza atlantica. Sul fronte archi tettonico e della vita civile, questa capitale culturale di 95.229 abitanti espone due opere di assoluto livello: la spettacolare stazione ferroviaria di Calatrava, che però deve essere ancora completata, e l’International Congress Xperience firmato da Daniel Libeskind. In questo caso si resta ammirati da un’astronave aliena atterrata nel cuore d’Europa: forme geometriche contrastanti, 12.500 metri quadrati di superficie, tre auditorium, una sala eventi e tante altre cose… L’architetto lo ha presentato con queste parole: «Abbiamo utilizzato gesti progettuali semplici ma drammatici, materiali locali e un programma flessibile per questo modesto gioiello d’edificio».
E adesso prendiamo fiato per esplorare due tappe della Mons gourmet. La Table du Boucher è un tempio della carne consacrato dallo chef Luc Broutard. Il suo è innanzitutto un lavoro di ricerca, per scovare quei tesori nascosti che sono alle base delle proposte che ogni giorno mette in tavola, con variazioni sul menu pronte ad assecondarlo. Poi, dalla cacciagione alla griglia, la carne resta regina, prodotto ancestrale sempre pronto a rinascere. L’Art des Mets è il ristorante che si vorrebbe incontrare in ogni viaggio: cucina di ricerca solidamente appoggiata sulla tradizione, quindi piatti unici, ben pensati, diversi da tutti gli altri. Un soggiorno a tavola con tante belle sorprese. E poi un personale caloroso e simpatico senza essere invadente. Così ci si lascia andare alla curiosità reciproca e si completa la serata. I miei highlights: il foie gras de canard spadellato con verdure di stagione, la tajine de ris de veau con il tartufo fresco e, per finire, uno champagne gourmand dove le bollicine sono di Edmond Roussin.
E adesso il luogo dove prendere alloggio. L’antica abbazia delle Sorelle di Belian è stata trasformata, in hotel di charme a quattro stelle (il Martin’s Dream Hotel, ndr), pur mantenendo molti elementi dell’architettura originale. Potrete soggiornare a Mons in quella che è l’atmosfera caratterizzante della città: la fusione, qualche volta azzardata, tra antico e contemporaneo. In questo boutique hotel, gli arredi di design si affacciano verso l’esterno, oltrepassando le antiche finestre a rosone, comfort ottimale e suggestione allo zenith. Appena fuori Mons merita una sosta il Grand-Hornu, l’antico complesso industriale per l’estrazione del carbone. Questi grandi spazi – impressionante il cortile circolare– rivivono attraverso un’attività culturale basata sull’arte contemporanea. Archeologia industriale rivitalizzata con approccio visionario.
L’ultima tappa del nostro viaggio si trova alle porte di Charleroi, ed è il più grande museo d’Europa dedicato alla fotografia, con un’estensione di ben 6.000 metri quadrati. Possiede un patrimonio di 100.000 fotografie, 800 delle quali costituiscono l’esposizione permanente, un vero viaggio nel tempo dalle origini ai maestri, dalle diverse tematiche alle pubblicazioni d’epoca. Solitamente si possono ammirare almeno tre mostre temporanee, di insindacabile levatura internazionale.
Questo viaggio nel cuore d’Europa ci ha fatto comprendere che la qualità di un territorio si misura con la sua capacità di sintesi: tra il patrimonio della storia e la propensione al futuro, tra lo studio delle arti e la necessità di comunicarle, tra il rispetto delle tradizioni e il piacere dell’accoglienza, tra l’immutabile e la creatività. Così la Wallonie si rivela una continua sorpresa oltre la calma. Perché a volte sono i piccoli viaggi a fare l’uomo grande.
(Foto di MARCO CARULLI)