News

Sentenze granata

di Gian Paolo Ormezzano

Una supercopertina

Torino, autunno 2021

Afferro, palpo, vellico, pomicio, masturbo, massaggio, assaggio, mastico, insalivo, rumino, metabolizzo, insomma faccio del tutto mia con i modi (e i verbi) che so l’idea, insita nelle molte, moltissime idee sorelle che – realizzate – accompagnano questo numero speciale di Torino Magazine, di una supercopertina che sia madre, figlia, padre, figlio e anche zia e zio di tutte le copertine passate, presenti, future.

Una copertina che io da direttore non vorrei mai dover scegliere. Perché scegliere è decidere, è ordinare, e proprio non ci terrei a fare di nuovo il direttore, io nemico di ogni forma di potere, ordine coatto, diplomazia, blandizia, severità, patteggiamento, dittatura: tutti atteggiamenti che hanno reso sicuramente non memorabile, per me come per i miei datori di lavoro, l’esperienza di quasi cinque anni alla direzione di un quotidiano sportivo, direzione propostami e intanto quasi impostami da una sorta di ius soli, avendo io occupato con il mio fanatico gran daffare la redazione quando avevo appena smesso di essere un ragazzino.

E poi toltami, la direzione, perché sì, il motivo dei motivi.

Una supercopertina che sia madre, figlia, padre, figlio e anche zia e zio di tutte le copertine passate, presenti, future.

Due foto: lui quando arrivò e lui al tempo della cover. Lui nero o marrone o giallo o pure bianco, cresciuto da grande italiano. Lui che non so chi possa essere ma so che c’è già

Ci ho pensato, ponzato, meditato, ripensato, ho chiesto illuminazioni. Dunque: due foto per la mia ideale, teorica (ma non è detto…) copertina: lui quando arrivò e lui al tempo della cover.

Lui (che sempre vuol dire anche lei) nero o marrone o giallo o pure bianco, lui dall’Africa o dall’America Latina o dall’Asia, lui segnato dalle frustate dei kapò libici o dei poliziotti texani a cavallo o di altri sgherri eguali perché egualmente sgherri, lui ansante e solo sulla battigia o lui con madre viva che lo cerca urlando il suo nome, lui spiaggiato da qualche apocalittico naufragio di barcone da migranti, lui meravigliosamente vivo e dunque non utile per foto del cadaverino con nostro rapido shampoo alla coscienza, lui – seconda foto – che ius soli o no (meglio e infinitamente di più lo ius vitae) è cresciuto da grande italiano, e convoglia onore e rispetto e financo gloria alla sua e nostra Italia, e non me ne frega niente se è l’Italia dello sport, dell’imprenditoria, dell’arte (canto, ballo, scultura, pittura, scrittura…), come anche della raccolta dei pomodori sotto il gran sole.

Lui-lei che ci rappresenta al Nobel, all’ONU, all’UNESCO, all’UE, nei campi dei pomodori, lui che parla pure il dialetto dell’Italia dove è cresciuto. Lui-lei, comunque con tanti simili, e pazienza se non entrano nella foto di copertina. Lui-lei che preferirei campione dello sport domus mea, ma in fondo già ne ho avuti di quasi così, e poi gli schifosi razzisti troverebbero il modo di dire che in fondo è soltanto sport, giusto che prevalgano i disperati che non hanno altro che il corpo da mettere sul tavolo da gioco.

Lui che non so chi possa essere ma so che c’è già, e se non cresce è colpa nostra, dunque anche mia. Lui che non mi fa vergognare di sin troppo tricolore. E delle mie fortune anche ereditate, del mio culo al caldo, persino del mio sapermi distrarre dal mondo che puzza, urla, dà, soffre, muore assistendo, mettiamo, a una coinvolgente partita di calcio e facendo il tifo per il Toro o per lo Spezia se sta battendo la Juve.

Miserie. Lui che ho già visto su troppe spiagge, piccolo e grosso di gonfiore d’acqua mortifera, e che però ritorna, vive, cresce, mi fa scrivere queste righe sentendomi utile anche come verme ultimo del giornalismo.