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Torino, Speciale Territorio 2024
Le rappresentazioni di uno sportivo praticante legate, spiegate e perfino piegate alla sua origine territoriale, mi hanno sempre fatto sorridere. Spesso mi sono chiesto se uno di Crema deve patire, e magari dalla nascita, complessi di inferiorità “nei riguardi di” o “al confronto con” uno di Cremona. Idem, per scendere a un caso specifico, se il forte ciclista Giuseppe Saronni, campione del mondo dei professionisti su strada nel 1982, poteva essere definito anche in grossi titoli, con compiaciuta abbondanza di occhielli e sommari, da un giornale importante di Torino (nelle cui valorose schiere pure io ho combattuto), “il piemontese” sol perché le doglie del parto avevano spinto la mamma sua al vicino, attrezzatissimo ospedale di Novara, pur essendo la famiglia Saronni di Buscate, ora addirittura parte della città metropolitana di Milano.
La territorialità, tema forte specie nei teleshow strappacuore, conta ancora qualcosuccia per quelli che sono gli inizi dell’atleta poi famoso. Abbondanza di informazioni e di scambi e di sperimentazioni dirette, comodità di trasferimenti ed anche di spostamenti a lungo termine, seduzione residenziale di luoghi specie fiscalmente “facili”, fanno ricordare persino malamente i duri luoghi di origine.
Rimanere un beneamato “enfant du pays”, mirabile ma intraducibile definizione francese del campione di casa, è sempre più difficile. E non è detto che intanto non scompaia il “pays”. E che tutto sia soltanto un bla-bla-bla per dare un qualche fondale sonoro al quasi niente morale che stan avviluppando atleti, giornalisti e molti altri bipedi.
Per esempio Superga: viverla come culto per quel che lì accadde il 4 maggio 1949 è un bene, un male, un tutto, un niente
Vero che nelle pieghe amplissime della territorialità si può trovare tanto, dal miracolismo della cucina della nonna al rifugio da responsabilità che nessuno psiconauta sa alleviare: ma sono ancora cose che contano? Per esempio Superga: viverla come culto per quel che lì accadde il 4 maggio 1949 è un bene, un male, un tutto, un niente, o semplicemente qualcosa di etereo per chi non ha il cuore giusto, esistenziale per chi ce l’ha? Io mi chiedo come si possa essere juventini essendo anche torinesi di Torino (e non torinesi di residenza, di convenienza), con Superga che ti guarda mentre la guardi, ma chi sono io, e poi frega qualcosa a qualcuno?
E anche il concetto di territorialità non è forse un limite per un mondo che si vuole senza confini, senza passaporti, senza biglietti di andata e ritorno? Un mondo tutto per tutti? Qui svicolo alla rivelazione, temo per la maggioranza dei lettori granata, di un equivoco sulla territorialità. Valentino Mazzola è stato il Toro, e quindi anche Torino, però lui proprio non amava la città (questione di donne, di mogli, complicata e molto sua) e sognava Milano, comunque la Lombardia di Cassano d’Adda natale e vasti dintorni assai meneghini: eppure per me non c’è niente che mi dica Toro ergo Torino più di lui. Ma vado oltre. Si parla di Fausto Coppi come di creatura/creazione esplicita di quell’Alessandrino magico che ha dato anche Girardengo e Cuniolo al ciclismo, Rivera e Ferrari e Rava al calcio. Tutti enfant du pays? I genitori di Fausto venivano dal Verbano terra di migranti (Quarna, dice qualcosa?), sempre Piemonte ma tutto un altro Piemonte, di cui il Campionissimo è nipote diretto. Posso andare avanti con il mio “amicone nonostante”, cioè Giampiero Boniperti, novarese orbitante su Torino mentre la maggioranza dei suoi conterranei è attratta da Milano.
Come anche accade per quelli di Biella, la città (maggioranza juventina) di mio padre. Nel francese che parlo e adoro c’è territoire ed è territorio, ma c’è terroir ed è terra, proprio la terra che si pesta, proprio la terra terra-terra, e premio con la mia stima chi mi sa tradurre bene terroir in italiano.