Torino, Autunno 2024
Facciamo finta che in un emirato arabo si alzi la voce ufficiale di uno sceicco il quale offre una cifra enorme per acquistare le azioni del Torino e farlo squadrone farcito di strapagatissimi assi mondiali. L‘offerta contiene anche un riconoscimento di valori pratici, come potrebbe essere la nomea di un club fra i più popolari al mondo per una sua particolare vicenda, e di una squadra intanto in testa alla classifica di un campionato nazionale importante. Ciò detto, magari approfittando di una comoda seguitissima assise mediatica che non mi verrebbe – lo so, lo sento negata, mi dimetto da tifoso granata eccellentissimo, assoluto, totale, speciale, cercando di dare la massima ufficialità al mio atto, e mi dedico al padel per la seconda parte della mia vita, ora che ho compiuto gli 89 anni.
Il tutto ben sapendo che con la probabilmente eterna presidenza Cairo non saranno fatti investimenti clamorosi forieri di grandi speranze, e ben sapendo che non c’è all’orizzonte nessuno, meglio se torinese, con i soldi per sostituirsi, di fronte a una sorta di emergenza sceiccale, al proprietario attuale. Perché? Perché sì, il mio Toro di Superga mi comanda, dal 4 maggio 1949. Urbano Cairo, grandissimo editore di giornali vivi alla faccia della crisi della stampa scritta, milanese di nascita, origini alessandrine, è figlio di una grande tifosa del Torino anzi del Toro, da me conosciuta in quel di Gavi, una Liguria che è molto Piemonte per un grande vino e per la testina in cassetta (sublime insaccato di carni bollite del muso dell’animale, i francesi lo chiamano chissà perché “fromage de tête”).
Smentirei tanto se non tutto di me stesso e rischierei di farmi prendere sul serio da Cairo
Urbano Cairo fa finta di non sapere molto di calcio, ma secondo me sa tutto quel che c’è da sapere, e comunque non è poi tanto se lui, pur lasciandosi catturare dal Torino, ha il tempo per essere e fare il super-editore, anche di stampa sportiva non sempre facilmente doma se il Toro gioca male. Io, che in fondo conosco poco Cairo, fortemente credo nel mio intimo di concordare con lui su alcuni punti:
- l’allenatore conta poco, se non ci sono gli assi non può farci nulla, se ci sono mica può mettersi a insegnare calcio agli assi;
- conta molto l’individuazione e l’acquisizione dei potenziali assi quando al paesello, al villaggio giocano da giovanissimi, magari africani o papuasi, costano poco e sono pieni di voglie sportive;
- in una grossa società calcistica si sbagliano scelte, si assegnano mansioni alla carlona, si cede su molto e ci si impunta su poco, il tutto persino più che in una grande casa editrice impegnata su molti fronti;
- i veri grandi giornalisti sono spesso più capricciosi dei calciatori più divi;
- i tifosi di tipo medio gridano, insultano, pretendono, ma cambiano pure idea al volo, basta un risultato positivo, e quelli che vogliono che Cairo se ne vada sono spesso domabili, asservibili con un derby vinto;
- varie ed eventuali, fra cui il mio ritenere il gioco del calcio affascinante come illogicità spesso anche spettacolare, ma povero di gesti e programmi tecnici ed atletici.
Se giunto a questo punto parlassi seriamente, come richiestomi, di prospettive tecniche, tattiche, atletiche, augurandole tutte a breve o lungo termine programmabili e prevedibili nel Toro, smentirei tanto se non tutto di me stesso e rischierei di farmi prendere sul serio da Cairo come giornalista barbogio che sa, predice, ammonisce, consiglia. Preferisco mi prenda per matto, e magari spero che in questi termini la sua mamma gli abbia riferito di me.