Torino, speciale 30 anni
Nel 1988 l’Ordine degli Architetti di Torino compiva 10 anni. Era stato da poco istituito, a seguito del processo di separazione degli Ordini provinciali dall’originario organo regionale. Contava 2071 iscritti di cui 1575 uomini e 496 donne, pari al 24%. Ora gli architetti torinesi sono quasi 7000 e la componente femminile ne rappresenta il 45%. Tra gli anni Ottanta e Novanta il numero di professionisti era in costante crescita per effetto della riforma dell’Università che aveva liberalizzato negli anni Settanta l’accesso alla Facoltà di Architettura, segnando la fine dell’epoca della professione elitaria.
Attualmente il numero degli iscritti, dopo un decennio di stabilità, è lievemente in calo, complice la crisi economica ma anche le modifiche nella legislazione degli Ordini professionali e l’inserimento dell’obbligo formativo. I numeri dell’Ordine sono un indicatore di come si è modificata la condizione della professione degli architetti: non più una categoria di dimensioni ridotte, ma depositari di un ruolo nella società che possono far valere. Di contro, da una professione esclusiva si è passati a una categoria schiacciata dalla competizione interna e di professioni affini. L’architetto oggi deve diventare sempre più un imprenditore di se stesso: deve saper leggere i mercati e imparare a rispondere alle richieste, anche individuando nuove nicchie per la professione. È cambiata l’organizzazione degli studi professionali: si riduce il numero dei grandi studi associati e prevalgono strutture di dimensioni medio piccole. Secondo il Rapporto del Consiglio degli Architetti d’Europa, in Italia il 77% degli studi è composto da una sola persona, il 13% da due persone, il 10% da un numero variabile da 3 a 5.
Un dato in controtendenza con l’andamento europeo e che comporta una scarsa competizione degli studi italiani a livello internazionale; il profitto di uno studio medio in Europa infatti cresce in linea con le dimensioni dello studio. Un ufficio che conta da 3 a 5 persone riesce a guadagnare 4 volte quello che guadagna un architetto indipendente, e ancora: se in un ufficio lavorano da 6 a 10 persone le entrate riescono ampiamente a superare di dieci volte quelle che può raggiungere un professionista che lavora da solo. La differenza nel lavoro dell’architetto in questi 30 anni è evidente anche dall’analisi degli spazi di lavoro. È interessante infatti confrontare gli studi professionali di diverse generazioni di architetti per osservare come sono cambiati gli strumenti e le necessità come effetto dell’innovazione tecnologica e del processo di digitalizzazione. Non più grandi spazi espositivi in cui mostrare i plastici e le fotografie dei lavori, non più tecnigrafi e fogli di carta, ma solo una scrivania e un computer, magari portatile, che si adatta a lavorare in qualunque postazione.
Si stanno così sviluppando sempre di più gli spazi di lavoro condiviso, i cosiddetti coworking, e aumentano i professionisti che si ritagliano lo spazio per l’ufficio all’interno della propria abitazione. Le occasioni di apertura ai cittadini degli studi degli architetti, come l’appuntamento che abbiamo recentemente organizzato il 18 e il 19 maggio con la Fondazione per l’architettura, offrono una chiara fotografia di questo cambiamento.