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Antonelli e Nietzsche, il Genio per le vie di Torino

A spasso per Torino

di Sandro Cenni & Lando Moglia

Speciale 30 anni

La sera del 23 febbraio 1887 un vecchio signore si aggirava in via Montebello a Torino. Era Alessandro Antonelli, che voleva verificare se la sua Mole, praticamente finita, non fosse stata danneggiata dalla scossa di terremoto che aveva lesionato più o meno gravemente alcuni edifici della città.

1888, aprile: un giovane filosofo arrivava dal mare, Nizza Marittima, dal clima temperato, in cerca di soluzioni per la sua instabile salute: era Friedrich Nietzsche, aveva 44 anni. Amici tedeschi gli avevano tessuto le lodi di Torino, ritenendola particolarmente adatta a lui che doveva scrivere la sua ultima opera. Friedrich si convince: attraversa le Alpi Marittime in treno, scende a Porta Nuova, si inoltra verso il centro della città e trova una sistemazione in una stanza libera al quarto piano di via Carlo Alberto 6. In quella casa scriverà ‘Ecce Homo’, libro della sua vita. Dirà poi: «Torino è il primo luogo dove io sono possibile».

1888, primavera inoltrata: i platani di piazza Solferino mettono le foglie (la Fontana Angelica non c’è ancora). Friedrich si incammina verso piazza Vittorio; in via Po, sotto i portici, un vecchio signore è fermo all’angolo di via Montebello. Da quello scorcio si intravede un’opera mirabile. Quel vecchio è Alessandro Antonelli, che non riesce a staccarsi dalla sua stupenda creatura, la Mole. Il giovane filosofo e il vecchio architetto si stringono la mano. Le loro storie.

‘Il sogno verticale’ è la grande aspirazione di Alessandro. L’occasione gliela offrirono gli ebrei del ghetto, che vogliono costruire la nuova sinagoga per dare un segno tangibile dell’importanza assunta nella vita cittadina dopo aver ricevuto l’emancipazione dal Re Carlo Alberto nel 1848. Le sue recondite intenzioni sono di innalzare la costruzione più alta del mondo. Il lavoro procede con soluzioni sempre più ardite, tanto da far lievitare talmente i costi da prosciugare la cassaforte degli israeliti, che lasciano al comune l’opera incompiuta in cambio di un terreno in San Salvario, dove costruiranno la sinagoga. Il comune porta a termine il cantiere, concedendo all’architetto di proseguire i lavori.

«Diceva Michel Angelo, Prencipe degl’Architetti, che chi segue altri non gli va mai innanzi».

Di fatto Antonelli, con la sua torre alta 167 metri di singolare e azzardata tecnologia, persegue l’aspirazione di raggiungere il primo posto fra le costruzioni in muratura esistenti. Ci riuscirà grazie agli insegnamenti segreti che la massoneria, a cui è affiliato da sempre, gli ha trasmesso: quei segreti, quelle acquisizioni scientifiche che già la confraternita babilonese degli Akhldann ha sperimentato nella costruzione della Torre di Babele. Il sogno dell’antichità si avvera a Torino. È l’ultimo edificio di un’era, quella delle grandi cupole: una sfida lanciata dalle intuizioni dei grandi geni ai limiti che sembravano invalicabili: Brunelleschi a Firenze, Michelangelo a Roma, il grande Soufflot del Pantheon di Parigi, Wren a Londra, o più indietro nel tempo, Santa Sofia in Costantinopoli.

Alessandro Antonelli e Friedrick Nietzsche la Mole e gli idoli: ascensioni e crepuscoli del Genio per le vie di Torino

 

Per Oscar Wilde: «Un’idea che non sia pericolosa, é indegna di chiamarsi idea».

Antonelli ricorda come, tra il 1870 e il 1878, le commissioni edilizie dell’epoca si resero conto della temerarietà e della spregiudicatezza dell’opera e fecero sospendere la costruzione. Si erano verificate crepe che l’architetto riparava con delle ‘graduate’ in ferro che davano sicurezza, mentre lui andava ripetendo a tutti di non preoccuparsi. Si era passati poi alla realizzazione della guglia, di ispirazione neogotica, che punta verso l’alto e fa rientrare la Mole tra i monumenti misteriosi della Torino magica. Gli esoteristi ritengono che la guglia, con la sua cuspide, assorba dalle concentrazioni cosmiche energia e forza che aumentano la solidità del sistema.

Friedrich ha appena terminato ‘Crepuscolo degli idoli’, breve scritto e dichiarazione di guerra non solo agli idoli del nostro tempo, ma soprattutto a quelli eterni, i più illustri: Socrate, Platone e altri ritenuti saggi solo perché hanno pronunciato in ogni tempo che «la vita non vale nulla». Siamo certi che non siano giunti a questa conclusione solo perché erano vecchi, malfermi sulle gambe, fisicamente decadenti, mostri di brame e vizi come disse un pellegrino trovandosi faccia a faccia con Socrate e lui rispose: «Lei mi conosce signore! ». Ce n’è anche per i filosofi idolatri del concetto che, quando adorano, uccidono e mummificano. Loro che si sentono unici fautori del mondo vero: «Io Platone sono la verità!».

Friedrich Nietzsche

Nietzsche ha più di un cantiere aperto in quei giorni, avendo appena iniziato ‘Ecce Homo’. «Chi sa respirare l’aria dei miei scritti – scrive – sa che è un’aria delle altitudini, un’aria forte. I fichi cadono dagli alberi, sono buoni e dolci: e mentre cadono si rompe loro la rossa buccia. Io sono un vento del nord per i fichi maturi. Così, simili a fichi, cadono innanzi a voi questi insegnamenti, amici miei: ora bevete il loro succo, la loro dolce polpa! È autunno tutt’intorno, e cielo puro e meriggio!».

1888, ottobre: le foglie degli alberi ingialliscono, Nietzsche cerca l’architetto per dirgli che ha terminato il libro che lo renderà famoso; ritiene di avere ormai superato, scrivendo quest’ultima opera, i limiti dell’umano, e che dichiarando la morte di Dio va cercando ciò che si è. Non lo trova lungo i soliti percorsi e ha un presentimento, si informa, gli dicono che il 18 di quello stesso mese l’architetto è morto. Aveva 90 anni.

Torino, via Montebello, la Mole in costruzione