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La bellezza e il dubbio: Tolstoj a Torino

A spasso per Torino

di Sandro Cenni & Lando Moglia

Estate 2019

Leone Tolstoj

e nato in un villaggio, Jasnaja Poljana (Radura Serena), nella regione di Tula, al centro della Russia zarista europea. La casa degli avi era immersa in un vasto territorio agricolo; ora e casa museo. Accanto alla casa, il sepolcro in un piccolo prato cintato, un laghetto, un ponte di betulle e piante di mele centenarie a cui lo scrittore si era dedicato con cura, ‘il meleto di Tolstoj’. Qui e nato nel 1828, precocemente orfano, erede di una fortuna che gli ha permesso una giovinezza allegra e spensierata, trascorsa tra feste e gioco d’azzardo, tra bettole e bordelli da Mosca a San Pietroburgo, non disdegnando le contadine della sua tenuta. Arriva in lui il momento in cui sente il peso di questo modo di vivere, confuso e alienante; si interessa al pensiero di Rousseau ed e mosso da un sentimento di fratellanza nei confronti di un’umanità sofferente.

Diventerà uno dei più grandi scrittori dell’umanità, probabilmente anche grazie al suo viaggio a Torino. Nel 1873 annuncia a un amico: «Sto scrivendo un romanzo… il primo della mia vita»  

A 33 anni, nel 1851, cercando salvezza nell’azione, si arruola nell’esercito e partecipa alla battaglia della Cernaja, dove vive il tragico assedio di Sebastopoli. E forse per dimenticare gli orrori della guerra di Crimea che decide di viaggiare in Europa in cerca di modelli politici da applicare nella sua Russia. Prima a Parigi, poi a Ginevra in omaggio a Rousseau, il filosofo che ha segnato in parte la sua vita.

Dal suo ‘Diario di viaggio’ annotiamo con piacere che da Ginevra, nel giugno 1857, vuole venire a visitare Torino. Pernotta all’Hotel d’Europe, l’albergo più lussuoso della città, situato all’angolo tra piazza Castello e via Roma. Visita il Museo Egizio, l’Armeria Reale; incontra Cavour in una seduta del Parlamento Subalpino, dove apprezza l’esercizio della democrazia. Non dimentica l’antico vizio e visita i migliori bordelli, dei quali celebra le virtù.

Diventerà uno dei più grandi scrittori dell’umanita, probabilmente anche grazie al suo viaggio a Torino. Nel 1869 pubblica ‘Guerra e pace’ e poi, nel 1873, colpito da un avvenimento vicino al suo paese, Tolstoj annuncia a un amico: ≪Sto scrivendo un romanzo… proprio un romanzo, il primo della mia vita≫. L’esempio di Puškin lo induce a narrare una vicenda tratta dalla vita reale, la triste avventura della moglie di un proprietario nel governatorato di Tula. Nasce ‘Anna Karenina’, che con ‘Guerra e pace’ rappresenta il suo capolavoro.  Tolstoj è convinto di scrivere il romanzo di ‘Anna Karenina’ in poche settimane, ma occorreranno anni perché, man mano che i personaggi prendono possesso del racconto, diventano sempre più esigenti e consapevoli delle loro emozioni e delle loro pene, richiedendo, in un dialogo continuo con l’autore, tormentate rielaborazioni. Le poche settimane diventeranno quattro anni, in cui lo scrittore fa suoi il sentimento di profonda tristezza, di angoscia, di disperazione degli interpreti che vivono il romanzo. Nel film del 1997, il regista Bernard Rose ci fa conoscere una Sophie Marceau lontana da ‘Il tempo delle mele’, che incarna ≪non un ritratto, ma una deliziosa donna viva, dai capelli neri ondulati, le spalle e le braccia nude e un pensoso, appena accennato sorriso sulle labbra coperte da sottile peluria≫. Tolstoj ama intensamente Anna Karenina e la accompagna, pur presagendo l’ineluttabile fine, sino a quell’incontro con Aleksej Vronskij, brevi attimi che la intossicano.

Sophie Marceau in ‘Anna Karenina’

Una donna che sino a quel momento forse era ≪infelice, ma orgogliosa e tranquilla, che non e mai arrossita davanti a nessuno ma che ora e costretta a sentirsi colpevole di qualche cosa≫. La storia si snoda sulle note della ‘Patetica’ di Čajkovskij, che nella loro levita sonora nascondono l’apparire del dramma, messo in evidenza da una societa ipocritamente perbenista, pettegola, chiusa nel rispetto ossessivo delle regole che si e data; dove le parole usate dalle donne dell’alta società non sono dolce violenza ma affilate lame. ≪Se mi amate come dite fate che io abbia pace≫, e la supplica di Anna ad Aleksej. Anna ama e si perde, lascia alle spalle la sua morale, Vronskij e soddisfatto. Anna vive quell’attimo come un pauroso e fascinoso sogno di felicità. ≪Dio mio perdonami! – dice singhiozzando, stringendo al petto le mani di lui – Tutto e finito, non ho nessuno all’infuori di te. Ricordalo≫.

Dopo la stesura del romanzo, vacilla l’equilibrio interiore dello scrittore e si acuiscono le perplessità sul sentimento di peccato e sul dolore che gli procura il rapporto tra bene e male, a tal punto da indurlo a pensare di chiudersi in convento. ≪Se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te≫. Quest’affermazione di Nietzsche sembra preludere alla condizione esistenziale di Tolstoj, che cerca sostegno in Rousseau e nel Vangelo, che come lui scrive ≪hanno avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita≫. Intravede motivazioni per agire verso il bene altrui. Nella sua tenuta a Jasnaja Poljana organizza la vita dei suoi dipendenti con criteri quasi socialisti: apre scuole per i giovani, fornisce assistenza medica ai bisognosi, non fa più lavorare i vecchi. Si dedica a lavori manuali, impugna la falce e taglia il grano a fianco dei contadini, con l’unico risultato di ricevere i rimbrotti dei proprietari terrieri, che temono il dilagare di questo liberalismo; contemporaneamente, scopre la perplessità dei contadini che diffidano di tanta magnanimità.

Giacomo Balla, ‘Ritratto di Tolstoj’

L’ostilità dei parenti, che non ne condividono i comportamenti, lo induce ormai ottantaduenne a fuggire dalla casa, dalla famiglia e dai discepoli. Morirà solo e senza conforti religiosi nella stazione di Astapovo. Nel 1911, un anno dopo la sua morte, Giacomo Balla, il grande pittore divisionista, lo ritrae vestito con una blusa da mugik e una folta barba bianca. A conferma del legame di Tolstoj con Torino, il quadro e nella casa di una famosa stilista torinese.