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Sentenze granata

di Gian Paolo Ormezzano

Il mio granata

Torino, primavera 2020

Il mio giocatore granata più giocatore granata? Niente Mazzola troppo facile. Niente Maroso immenso però troppo lontano. Niente Meroni troppo bello e dannato. Niente Ferrini troppo figlio di Valentino. Niente Sala troppo Pulici&Graziani. Niente Graziani troppo Pulici. Niente Pulici troppo Graziani. Niente Júnior troppo perfettamente bravo. Niente Tizio troppo Caio. Niente Caio troppo Sempronio. Li ho amati e li amo, come tanti altri granata, praticamente tutti, salvo alcune pecoracce nere che ho (senti)mentalmente espulso dal gregge adorato, però mi serve quello con il quid, anzi con tutto il quid possibile (quid latino mi piace più di non so che italiano). Che sia stato forte ma ancor più balzano, devoto ma ancor più eccentrico, chirurgico ma ancor più fumantino, geniale ma ancor più folle, nobile ma ancor più plebeo, bravaccio ma ancor più cattivello, granata ma ancor più antibianconero. E poi mio amico per un qualche altro quid speciale. Insomma Agroppi. Aldo Agroppi da Piombino, così amante/pierre della sua brutta città marinara senza mare da bagno, da convincere un giovane giornalista a spendere una parte delle sue esigue ferie tra i fumi siderurgici della Magona con vista dolente sull’isola d’Elba.

Che sia stato forte ma ancor più balzano, devoto ma ancor più eccentrico, chirurgico ma ancor più fumantino, geniale ma ancor più folle, nobile ma ancor più plebeo, granata ma ancor più antibianconero. E poi mio amico per un qualche altro quid speciale. Insomma Agroppi

Io con Aldo, Claudio Nassi giornalista e amico, Lido Vieri mio portiere preferito. Mancava Nedo Sonetti, futuro allenatore del Toro, dei quattro moschettieri piombinesi e piombinastri. Andavo da Agroppi la domenica sera, finito col giornale, nella sua casa torinese lungo la Dora, c’era quasi sempre don Francesco, il cappellano che ha preceduto un altro Aldo (don, cognome Rabino), c’erano spesso Claudio Sala, Zaccarelli, Fossati, si orpellava la partita (tutto il calcio la domenica pomeriggio). Io legavo bene con Aldo, ricordo quando lo omaggiai raccontandogli che era riuscito a farmi delirare di febbre granata in Svezia: lui a Torino a inventare su punizione, con Sala, un gol nel derby, io lassù a raccontare la Vasaloppet, la corsa del re Gustavo sugli sci per spostarsi nel paese e sollevarlo contro i danesi invasori. Un’amicizia nasce senza spiegare il perché, anzi il segreto è il perché che non si trova ma esiste eccome. In campo Agroppi giocava da non baciato dagli dei, trafficava col pallone trattandolo anche male, con ringhio perenne contro il nemico.

Un giorno mi disse: «Se sono contro Rivera lo marco feroce, non penso che a bloccarlo, io gioco da cani ma faccio giocare da cani anche lui, la squadra a cui tolgo dalla partita un Rivera ci rimette più della mia a cui in fondo tolgo soltanto un Agroppi». Era diventato granata totale per, diciamo, magia. Mica sapeva allora che Lippi, che per la Sampdoria tolse da ben dentro la propria porta un suo pallone che, se gol, forse avrebbe voluto dire scudetto al Toro, sarebbe poi diventato allenatore della Juve canonicamente da odiare. Aldo sanguigno, fiero, sfrontato il giusto, belluino se era il caso, con però straordinari lampi di classe pura, è stato Toro per scelta, per costruzione e progressione (velocissima). Ha capito tutto della dolente fortuna di essere tifosi granata. Ed è sempre rimasto Toro. Ne ha passate tante, gli si sono imbianchiti i capelli, il mondo del calcio lo ha anche tartassato, e lui ci ha scritto sopra giuste dure cose. Quando, allergico all’allenatore Radice, andò al Perugia, gli strappai la promessa: a carriera finita, un bel giro del mondo regalato alla moglie Nadia, dolce e devota. Promise. Per anni a ogni feria d’agosto una cartolina firmata da lui e Nadia dallo stesso posto, la loro spiaggia toscana di San Vincenzo, con i «saluti da un’altra tappa del nostro giro del mondo».