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Sentenze bianconere

di Darwin Pastorin

Il mio bianconero

Torino, primavera 2020

Questo, soprattutto, voglio dirti: grazie. Sì, grazie Pietro Anastasi: idolo della mia giovinezza e poi amico mio carissimo. Te ne sei andato con coraggio e dignità, da campione, anche fuori dal barbaglio del prato verde. Quanti ricordi, quanta nostalgia. Era l’estate del 1968, Pietruzzu (come ti soprannominò Vladimiro Caminiti, il poeta del giornalismo sportivo, tra Pascoli e D’Annunzio): avevi conquistato, da poco, con la maglia azzurra, appena ventenne, l’Europeo nella finale-bis con la Jugoslavia (2-0 all’Olimpico di Roma, in virtù di una tua splendida rete in acrobazia e di un gol di Gigi Riva, il breriano ‘Rombo di Tuono’). Giocavi nel Varese e, nel pieno della campagna-acquisti, l’Inter ti corteggiava. Non potevo crederci: perché io ti volevo nella mia Juve. Rappresentavi il centravanti dei miei sogni, tu: con la tua rovesciata proletaria, i tuoi dribbling, i tuoi tuffi di testa; nel tuo talento e nel tuo furore ritornavano, per la mia immaginazione e per la mia allegria, i frombolieri della mia infanzia brasiliana, a San Paolo, io figlio nipote e pronipote di emigranti veneti. Così, oh non mi vergogno, cominciai a pregare (pregare per davvero) per farti vestire il bianconero.

Grazie Pietro Anastasi: idolo della mia giovinezza e poi amico mio carissimo. Te ne sei andato con coraggio e dignità, da campione, anche fuori dal barbaglio del prato verde

Ed ecco il miracolo, eccoti alla corte di Madama, eccoti prendere il posto, nella mia fantasia, degli eroi salgariani: Sandokan e il Corsaro Nero, inchinandosi generosi, si mettevano da parte. Ora esistevi solo tu, Pietro Anastasi da Catania, poster in camera, ritagli di foto e articoli, autografi che ti chiedevo al campo Combi, maglietta acquistata al mercato con il tuo volto stampato sopra, figurine. Io che quando giocavo, proprio da numero 9, imitavo il tuo modo di correre e calciare. Io che ti raccontai in un tema di terza media come ‘protagonista del Novecento’, tra lo stupore e il perdono della mia professoressa di lettere. Poi arrivò l’amicizia: vera, forte e sincera. Tu e tua moglie Anna, il tuo angelo. Tu a casa dei miei genitori, con mia mamma che ti disse: «Dovrei denunciarti, Pietro…». E tu, sorpreso e divertito: «Perché signora? ». «Per tutte le volte che Darwin ha scritto il tuo nome, con un temperino o con un pennarello, su mobili e pareti!». Tu al battesimo di mio figlio Santiago, nella bellissima Mazzè, con i tuoi ex compagni José Altafini (il ‘Mazola’ del Palmeiras) e Gianfranco Leoncini.

Il nostro ritrovarci a Noto e nella tua elegante casa di Varese, oppure ancora a Torino quando decidesti di collaborare, dopo Tele+, anche con Quartarete TV: sempre chiari, onesti e mai banali i tuoi commenti sulla tua adorata Juventus. E con quanto orgoglio mi mostravi quella foto, ormai consunta, che conservavi, con gelosia e tenerezza, nel tuo portafoglio da una vita: tu, raccattapalle allo stadio Cibali di Catania, al fianco del tuo beniamino, il gigante buono John Charles, goleador con Sívori e Boniperti. Sei stato un punto di riferimento vitale per gli operai meridionali della FIAT Mirafiori, sei riuscito a unire Nord e Sud, eri onore e riscatto, luce bianca e onda del mare, eri amato da tutti per la tua classe e per il tuo grande cuore. A Giovanni Arpino ricordavi il pastore Rosario del mai finito romanzo ‘Le città del mondo’ di Elio Vittorini. Per me resterai all’infinito il mio amico Pietro: sempre e per sempre.