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Sentenze bianconere

di Darwin Pastorin

Goleador spavaldi e portieri impavidi

Torino, Speciale Territorio 2024

Questo calcio non riesce ad emozionarmi. È diventato, soprattutto, una assurda, stridente fabbrica economico finanziaria, una specie di show di Buffalo Bill in giro per il mondo, in improbabili e discutibili piazze dove portare un pallone senza più anima, senza più poesia. Luci troppo abbaglianti della ribalta, un avanspettacolo miliardario. Certo, mi entusiasma sempre un dribbling del formidabile Kenan Yildiz, un’irresistibile discesa sulla fascia di Chiesa, la grinta antica di Gatti, l’eleganza di Hans Nicolussi Caviglia (e che meraviglia sentirlo parlare di Francesco Guccini!).

Ma sono schegge nell’illusorio abbaglio. Seguo ancora il mio Palmeiras: ed è come prendere in mano il libro di lettura, recuperare la prima infanzia, dove tutto era ancora possibile e tutti erano ancora vivi. Non è facile per i giovani cronisti di oggi trovare storie, strappare interviste esclusive, è il marketing a decidere il chi, il come e il quando, gli allenamenti sono a porte chiuse, i giocatori parlano sui social, senza contraddittorio.

E, allora, ti sovviene la nostalgia per i tempi di una volta, quando il rapporto con i giocatori era di vicinanza e non di lontananza, quando potevi parlare con chi volevi, assistere anche alle partitelle in famiglia prima di un grande match, e il Trap chiedeva a Platini di fare i cross per i giornalisti: ricordo uno strepitoso gol di testa di Paolo Colaiacomo, mio collega a Tuttosport, a Tacconi.

E il Trap chiedeva a Platini di fare i cross per i giornalisti

E quando ero ragazzino, già in Italia, a Torino, con il mio amico Gian, andavamo al Campo Combi, dove ti intrattenevi con un mito come Sentimenti IV, accompagnavi i calciatori, chiedendo loro l’autografo, dal Combi agli spogliatoi del Comunale, attraversando un breve tratto di via Filadelfia. Erano disponibili, gentili, pazienti: da Anzolin a Coramini, da Cinesinho a Giovannino Sacco.

E la prima volta che ho visto da vicino il mio idolo Pietro Anastasi: emozione pura! Come quando, sulla nave che ci portava in Italia, con la mano di mia madre a darmi sicurezza e amore, osservavo, sentendomi il Corsaro Nero, le onde adulte dell’oceano. Tutto quell’azzurro che mi avvolgeva e mi confondeva.

Così come restai a bocca aperta nel vedere, sempre al Combi, proprio dietro la porta, i voli da un palo all’altro, dell’estremo difensore Superchi della Fiorentina (i viola avrebbero giocato il giorno dopo, domenica, contro il Toro). Gli andai incontro, dicendogli: «Cavoli, certo che pari bene!». E lui, sorridendomi: «Beh, sai, faccio il portiere!».

E come scordare le “mattane”di Gianfranco Zigoni, un ribelle di razza, che amava scherzare, senza timori o tremori, con l’immenso Omar Sivori. Era eccentrico, imprevedibile, capace di portare una pelliccia d’estate con tanto di cappello da cowboy. Sembrava uscito da un racconto di Osvaldo Soriano, ambientato in Patagonia: goleador spavaldi e portieri impavidi. Per questo amo recuperare le storie di ieri e proporle, soprattutto ai giovani: perché, e vale anche per il calcio, non può esserci futuro senza memoria.