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Antonella Boralevi

Gli incanti dei romanzi noir

di GUIDO BAROSIO

Speciale giugno 2019

Fiorentina, scrittrice di solido successo, una fortunata carriera televisiva, Antonella Boralevi è una protagonista dallo stile inconfondibile, colto e attento ai dettagli. Il suo debutto come autrice risale al 1985, con ‘Far salotto’, dopo altri venti libri tra romanzi, saggi e raccolte di racconti. Per il piccolo schermo ha curato e condotto numerose trasmissioni, tra le quali ‘La penisola del tesoro’, ‘Uomini’, ‘Bianco e nero’,‘Film dossier – Linee d’ombra’, ‘Mariti & mogli’, ‘Privatissimo’ e ‘Vissi d’arte’. Nel 2009 è stata nominata Consigliere diplomatico per la Comunicazione della Cultura e della Immagine dell’Italia. In questo ruolo ha ideato, curato e organizzato la mostra ‘La France et le Risorgimento’, inaugurata a Parigi dal presidente Napolitano nel 2010. Negli anni più recenti, la passione per la scrittura si è accentuata segnando una svolta significativa, che l’ha portata sulle piste del noir con ‘La bambina nel buio’ (Baldini&Castoldi, 2018). Il nuovo romanzo, ‘Chiedi alla notte’ (Baldini&Castoli, 2019), prosegue la serie ed è un libro immersivo e sorprendente: dove il lettore si trova prigioniero di una narrazione ricca di dettagli, minuziosa e coinvolgente, scandita nelle ore e nei minuti, registrata su ritmi perfetti che ti portano non solo nell’azione, ma nell’anima e nei segreti dei protagonisti. Il libro si inizia e non si molla più, la storia diventa tua. Là, in quella Venezia della Mostra del Cinema dov’è ambientato, ti muovi con l’autrice alla ricerca della verità. Antonella Boralevi l’ho conosciuta, in una serata da amici, nei giorni del Salone del Libro. Lei era venuta a presentare il suo romanzo, io mi sono incuriosito per l’amore, ma direi innanzitutto per l’ammirazione, che le ho visto riservare alla città che l’ha accolta.

Mi piace scrivere moltiplicando le esperienze sensoriali dei miei lettori e, in questo, vorrei essere un’incantatrice. Io ‘li porto dentro’ prendendoli per mano, facendo sentire gli odori, permettendo loro di osservare i colori e le immagini che ho visto

Come definiresti Torino?

«Questa è la città della regalità e ha un’anima profondamente aristocratica. Lo si nota magnificamente in piazza Carignano: da un lato le forme solenni del Parlamento Subalpino, subito di fronte il Teatro Carignano e il ristorante Del Cambio. Ci si guarda intorno e si respira la bellezza e l’eleganza. E poi mi colpisce la natura dei torinesi, il loro stile, non sono mai arroganti e, in un mondo che sgomita, non sono degli arrampicatori sociali».

Ci vieni volentieri?

«Molto, anche perché ho amicizie carissime che amo coltivare».

Ambienteresti a Torino uno dei tuoi romanzi?

«No, ma è un attestato di stima. O sei di Torino o è meglio non scrivere di Torino. Questa è una città gentile ma impenetrabile, ha i suoi codici, ha le sue regole non scritte. Chi la racconta ma non ci vive, non ci è nato, rischia di non essere credibile. Venezia, invece, dove ho ambientato il mio ultimo libro, mi si rivela».

Parlami di Venezia.

«Venezia è accecante, mostra e nasconde allo stesso tempo. Ci sono sempre dei contorni che non riesci a vedere per la presenza di una foschia luminosa, dei riflessi dell’acqua. Venezia è un mistero anche d’estate, in piena luce, quando ti sembra di comprenderla, ma ti rendi conto che non è mai completamente accessibile. E poi ci sono delle volte che la senti scuotersi, come il fasciame di una nave».

Milano, invece, è la città dove hai scelto di vivere. Come ti trovi?

«Milano mi ha spalancato le porte, la amo perché sa riconoscere le persone e le giudica per il loro valore. A Milano ognuno trova il posto che merita».

Veniamo alla tua scrittura. Il lettore si sente immediatamente parte   della vicenda narrata. Come operi?

«Mi piace scrivere moltiplicando le esperienze sensoriali dei miei lettori e, in questo, vorrei essere un’incantatrice. Io ‘li porto dentro’ prendendoli per mano, facendo sentire gli odori, permettendo loro di osservare i colori e le immagini che ho visto. Descrivo ogni dettaglio, ogni particolare, rendendo tutto vero, non solo credibile. L’inizio del mio nuovo libro è una vera e propria immersione nella festa inaugurale della Mostra del Cinema di Venezia: per cento pagine racconto ogni istante, ogni particolare della cerimonia e della cena di gala, ogni emozione di tutti i personaggi coinvolti. C’è unità di tempo e di spazio, siamo tutti lì a vedere che cosa succede. Ma scrivere un libro vuol dire avere sempre bene in mente la vicenda, il suo intreccio e il suo sviluppo. Dall’inizio alla fine. Le storie si aprono ma poi devono chiudersi, e tutti i tasselli devono andare al loro posto. In questo la lezione del noir è fondamentale, perché si deve rispondere a regole ben precise. Invece mi annoiano i libri dove non c’è intreccio, le cose raccontate sono poche e l’autore rimugina sui fatti propri. Occorre tener presente la lezione dei grandi classici, comeTolstoj, Flaubert, Stendhal, io sono cresciuta con questi. E poi le mie storie nascono dall’anima. L’anima è necessaria come la tecnica. Una sola non basta».

In ‘Chiedi alla notte’ gli investigatori sono due: Emma e Alfio. Sono loro i tuoi Maigret?

«Esatto. Hai fatto bene a citare Maigret, anche lui, come i miei protagonisti,parte dal lato umano delle vicende. Ho pensato a due personaggi che si contrapponessero e si integrassero, perché si amano e si respingono allo stesso tempo. Alfio è un commissario sciupafemmine, lui ha un approccio pragmatico e concreto alla vicenda e alle indagini. Emma è un avvocato di Netflix, donna in carriera ma fragile e sensibile, insicura ma coraggiosissima. Lei non indaga con la logica, però ‘sente’, comprende l’animo umano a un altro livello. Ma nel mio libro sono fondamentali tutte le figure che si muovono intorno, e che rappresentano due mondi: quello dei privilegiati, che si vede in superficie, e quello sommerso delle figure che stanno dietro. Sono due realtà che coesistono, come nella fiction ‘Downton Abbey’».

Hai scritto un noir dove i sentimenti hanno un ruolo determinante…

«Sì, e in tutte le sfumature possibili, anche quelle più oscure. Milo Manara, guardando la mia copertina, ha detto che è perfetta, perché nella parte destra si vede Venezia, ma nel lato sinistro l’immagine deraglia. Ed è proprio così, nella mia storia ci sono sentimenti che deragliano».

Dopo due romanzi con gli stessi protagonisti, proseguirai la serie?

«Sicuramente. Ci sto già lavorando e cominciano ad apparirmi le prime immagini, i primi luoghi. Le ville lungo il Brenta potrebbero essere uno degli scenari».

Quando si indaga l’animo umano, cosa si scopre?

«La profondità non si vede in superficie, c’è sempre un livello sotterraneo che spesso nasconde il risvolto più oscuro. Occorre anche indagare nell’anima delle persone, imparare a osservarle. Per esempio, l’umanità si divide in due categorie: quelli che amano e quelli che vengono amati. Ed è così per tutti, anche se a prima vista magari non sembra. Però tu guarda gli altri, cerca di comprendere i loro gesti, le loro azioni, i loro sguardi, e te ne accorgerai. O si ama o si è amati, non c’è scampo».