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Claudio Marinaccio

Lo scrittore 'maradoniano'

di GUIDO BAROSIO

Estate 2018

Il suo terzo libro – ‘La folle storia del kamikaze che non voleva morire’ (Miraggi Edizioni) – promette di essere uno dei casi più interessanti di questa estate letteraria. Di lui Darwin Pastorin ha detto: è uno scrittore maradoniano≫. Claudio Marinaccio, classe 1982, è un autore che esplora volentieri anche le rotte del giornalismo. Dopo aver scritto per GQ, Donna Moderna e Il Mucchio Selvaggio collabora con Wired, Io Donna del Corriere della Sera, Tuttosport e La Stampa. Da qualche tempo è tra le firme scelte dal quotidiano di Maurizio Molinari, insieme a Mattia Feltri e Giuseppe Culicchia, per raccogliere l’eredità del ‘Buongiorno’ di Massimo Gramellini. Il suo personale ‘Buongiorno Torino’ è dedicato alla provincia che si affaccia sulla grande città, tra realtà ironica e un pizzico di surreale. Se i due libri precedenti – ‘Come un pugno’ (Aliberti) e ‘Non disturbare’ (Miraggi Edizioni) – hanno raccolto un buon successo, sono il terzo e le sue ottime recensioni a confermare l’originalità di un percorso personale, originalissimo, fatto di storie taglienti, spiazzanti, dove il lettore affronta vicende terribili ma sempre piene di ironia. Il libro è composto da undici racconti – ci spiega – dove i protagonisti vanno incontro ad un destino che non lascia scampo, ma loro si ribellano, procedono nonostante tutto, anche quando sono beffati. Nei miei personaggi c’è quella voglia di sopravvivere che ogni essere umano scopre di fronte all’inaccettabile. Ma non sempre basta, e io lo racconto≫.

Torino ha un’identità molto forte e una doppia anima: elegante e underground. Ci sono i palazzi della storia, ma anche le tante vivacità di una cultura urbana che ha offerto e offre molto in termini di musica, cibo e arte

Storie torinesi?

No, universali. Gotiche e amare. Molti luoghi sono legati ai miei viaggi, da Parigi all’Abruzzo, dal sud della Francia al Cile, per arrivare agli Stati Uniti dei miei panorami letterari o cinematografici≫.

Che rapporto hai con Torino?

Amo Torino, ma la vedo in prospettiva, perche vivo in provincia, a Villarbasse. Vado in città ogni giorno, con la mia moto ci metto pochissimo, ma alla sera mi piace tornare in un posto dove ci sono gli alberi e le case sparse, dove si sentono le voci distinte e i cani abbaiare. A Torino, come in ogni città, c’e sempre un rumore di fondo, ed e una sensazione profondamente diversa. Vivendo questi due ambienti nella medesima giornata si colgono meglio le differenze, e ci si sente a proprio agio in entrambi. Sono un provinciale metropolitano e questo penso sia un privilegio. Per uno scrittore e un doppio punto di vista, fonte di spunti e di ispirazione≫.

Cosa ti piace della provincia?

La provincia e un territorio intimo e concreto, fatto di cose tangibili e visibili. È un luogo che profuma di antico, dove si gode di una realtà minimalista estremamente interessante. In provincia contano gli individui, li vedi uno per uno mentre fanno le loro cose, li incontri al bar dove ogni giorno si commentano i fatti, anche quelli grandi, ma sempre con le medesime persone. E poi quella di Torino e una provincia grande, la più grande d’Italia, circondata da montagne che vedi sempre, che identificano il paesaggio e forse anche il carattere della gente≫.

E invece Torino?

Torino ha un’identità molto forte e una doppia anima: elegante e underground. Ci sono i palazzi della storia, ma anche le tante vivacità di una cultura urbana che ha offerto e offre molto in termini di musica, cibo e arte. Torino non è come le altre città italiane: è molto più europea, anche geograficamente≫.

Hai vissuto un anno in America Latina, cosa ricordi di quell’esperienza?

Quando ho conosciuto mia moglie, Javiera, nel 2006, ci siamo trasferiti un anno in Cile. È stata una bella esperienza, ma poi abbiamo deciso di tornare. Ho scoperto di amare l’Italia ancora più di prima proprio restando lontano da casa. Sono convinto che in nessun paese del mondo si ami la vita come da noi. Al rientro ho deciso che avrei fatto lo scrittore a tempo pieno. Una decisione che ho preso anche per mio figlio Carlos: io scrivo per lasciare qualcosa a lui≫.

Cos’è per te la scrittura?

Mi piace la lucida follia che trovo in certi scrittori. Come per molti autori latinoamericani e statunitensi amo partire dalla quotidianità per arrivare al misterioso e al surreale. E poi c’è un altro aspetto fondamentale: la scrittura e allegria, piacere, diffido degli autori tristi. Quando vado nelle scuole insegno ai ragazzi che questo e il lavoro più bello del mondo e gli dico che per scrivere serve leggere, leggere tanto. Il mio primo libro vero e stato ‘Il bar sotto il mare’ di Stefano Benni. L’ho preso tra le mani a 13 anni e ho scoperto che ci si può divertire molto leggendo≫.

Granata o bianconero?

Juventino. La responsabilità è di mio padre. Nel 1992, dopo aver visto Mondonico sollevare la sedia ad Amsterdam, gli detto che volevo tifare Toro. Lui mi ha risposto che non dovevo più chiamarlo papà e che avrei potuto rimanere in casa, ma senza mangiare a tavola con loro. Cosi ho cambiato idea≫.

Ti piacciano altri sport?

Ho praticato il pugilato, alla boxe ho dedicato il mio primo libro. In quello sport si legge tutto il dramma della vita e si conducono allenamenti devastanti, una vera lezione. Tanti ti chiedono: ma come fai a prendere a pugni gli avversari? E tu gli spieghi che, salendo sul ring, il primo problema e un altro: quei pugni, innanzitutto, non devi subirli. Poi amo molto il basket, e sono una grande tifoso dell’Auxilium. Nell’ultimo anno ho stretto amicizia con Saša Vujačić, un personaggio straordinario. Lui, che ha vissuto a Los Angeles e Istanbul, trova Torino molto bella, una città a misura d’uomo≫.