Il Salone del Libro è per Torino ciò che i tulipani sono per i Paesi Bassi. Ovvero un patrimonio bello e prezioso, fatto di energie locali (terra, tradizione…) e orizzonti globali, perché simbolo del Paese nel mondo. Tenendo calda la metafora dei fiori, c’è da dire che i torinesi non hanno sempre coltivato al meglio il proprio Salone, così come tante altre virtuose case history territoriali, ma perlomeno l’hanno sempre difeso a spada tratta. Negli ultimi anni ci sono poi state le edizioni della svolta, delle piccole e grandi rivoluzioni, dei record, dei sospiri di sollievo e dei pugni stretti della determinazione. Salutato Lagioia, ecco quindi una cospicua bagarre, che ha condotto poi fuori, “a riveder le stelle”, con la nomina di Annalena Benini, nuova direttrice del Salone. Donna di cultura, e soprattutto scelta giusta nel momento giusto (e questo non ha niente a che fare con il genere).
Chi è Annalena Benini? È giornalista, scrittrice, mamma, divoratrice di libri e nel cassetto ha un libro e un sogno di cui ci ha parlato. Da vent’anni scrive per Il Foglio (di cui dirige il mensile Review). Ha pubblicato libri con Einaudi e Rizzoli. Ha scritto programmi per Rai 3. È la perfetta incarnazione di quelle energie locali per orizzonti globali di cui sopra. Perché è sia una “nuova” innamorata di Torino che un simbolo di internazionalità e contemporaneità. Perché è il merito che vince, ma anche la poesia e la cultura mai dome, mai abdicate, e che anzi vanno di moda, fanno giri immensi e poi ritornano, come certi, famosi amori.
Per questi e tanti altri motivi trovate Annalena Benini in copertina, e nella ritmata intervista, qui di seguito, di Guido Barosio.
Torino è una città posata ma gentile. Quello che mi piace di più è la capacità di lavorare insieme e di lavorare bene
Tra le diverse forme di giornalismo, l’intervista è l’unica be to be, dove l’ingaggio tra i due soggetti è auspicabile senza essere scontato. L’intervista è una porta che va aperta facendo un passo indietro, un invito a uscire dalla comfort zone, permettendo all’interlocutore (che non sempre conosciamo personalmente) di entrare in confidenza. Se tutto ciò avviene avremo un ritratto attendibile e complice, altrimenti ci si arresta alle trascurabili apparenze. Il merito o la colpa sono sempre di entrambi.
Poi ci sono soggetti, come Annalena Benini, che nell’intervista si accomodano come un gatto davanti al caminetto. A lei piace essere lì, si vede, ma le sue risposte non travolgono mai le domande. Si racconta, ti osserva e si osserva, senza mai eludere, anzi, aggiungendo dove serve. Un tennis piacevole che parte dall’inizio, da quella passione per la lettura (e poi scrittura) che ha tracciato tutte le sue rotte.
«Più che una passione per me la lettura è sempre stata un bisogno, fin da bambina. Ricordo che un anno, a Natale, mi regalarono un libro con le fiabe dei fratelli Grimm. Mi piacque al punto che il 26 dicembre lo avevo già finito. Per il disappunto dei miei genitori, che speravano in un approccio più graduale. In realtà quel libro ebbe una presa irresistibile su di me, lo lessi e lo rilessi decine di volte. Perché sono cresciuta, fin da piccola, come una lettrice vorace. Dedicavo tantissimo tempo a questa passione crescente, formativa, totalizzante».
Nel tuo caso sembra esserci un rapporto con sequenziale tra lettura e scrittura. Me lo con fermi?
«Esatto. Il mio desiderio di scrivere, la mia voglia di scrivere, nasce dall’essere sempre stata una formidabile lettrice. C’erano poi libri nei quali mi immedesimavo, che avrei voluto scrivere io. Oggi vivo profondamente entrambe le dimensioni. Scrivo per il bisogno intimo di farlo, e di base resto una accumulatrice di libri, libri che leggo anche contemporaneamente».
Il cartaceo o anche altro?
«Anche altro. Leggo per esempio gli eBook, e mi piace anche ascoltare audiolibri e podcast. Per gli audiolibri avverto il fascino, quasi teatrale, di chi con duce la lettura. Ritengo un vero privilegio ascoltare gli autori che propongono la propria opera. Recentemente ho ascoltato la Fallaci leggere “Lettera a un bambino mai nato”. Un’esperienza emozionante, che mi ha con nesso profondamente con la scrittrice. Resta comunque che il libro tradizionale esercita un fascino superiore a ogni altro mezzo. Perché si tratta di un oggetto culturale, ma allo stesso tempo fisico e sentimentale».
Tornerai a scrivere un libro? Vivi ancora il sogno di fare la scrittrice?
«Assolutamente sì».
Sai già cosa?
«Sì, questo libro è dentro di me. Uscirà al momento opportuno».
Saggio o romanzo?
«Romanzo».
Prima ferrarese e poi romana, adesso torinese. Pensi che questa, in Italia, sia la città del libro?
«Certamente sì, per me è sempre stata la città di Einaudi e dell’Einaudi. Ma anche un luogo di romanzi, personaggi e grandi scrittori».
Tu come ti trovi?
«Mi piace vivere a Torino, dove sono stata accolta molto bene e con grande fiducia. La trovo una città molto viva e particolarmente vivibile. Dal punto di vista culturale ci sono grandi appuntamenti e un fermento costante: nell’arte, nel cinema, nel teatro, nella musica, nella scienza e nell’innovazione. Torino è una città che fa ricerca, che guarda avanti, ma che presta anche attenzione al mondo dei ragazzi. Ed è molto importante, perché si tratta di un profilo culturale che parte dalla base, dalle scuole, e che non sempre si nota, dato che i riflettori sono maggiormente puntati sulle eccellenze. Dal punto di vista artistico e scenografico Torino è indiscutibilmente bella, elegante. Un luogo dove ti senti accolta bene anche per questo».
Una caratteristica dei torinesi che apprezzi particolarmente?
«Sai, io vengo da esperienze cittadine molto differenti. Ferrara, la mia città d’origine, si può considerare un piccolo gioiello, ma ha i suoi limiti e i suoi pregi nelle dimensioni contenute. Quindi è inevitabilmente chiusa su se stessa. Roma è l’esatto opposto: imponente e smisurata, tanto accogliente quanto cinica. Torino è una città posata ma gentile. Quello che mi piace di più è la capacità di lavorare insieme e di lavorare bene. Quando si individuano gli obiettivi si raccolgono le forze e si procede con determinazione».
E la tua vita personale? C’è un luogo torinese che ami particolarmente?
«Io abito in piazza Vittorio, uno scenario magnifico che mi ha conquistata. Adoro la mia passeggiata quotidiana lungo via Po, un percorso particolarmente affascinante per chi ama la letteratura. Sotto i portici si susseguono librerie particolari, altre dedicate al vintage, tante bancarelle coi volumi di seconda mano, altri spazi in cui si trovano libri e vinili insieme. Sono luoghi di cultura diffusa, concepiti con affetto e competenza, dicono molto sull’anima di questa città».
Dopo la tua prima esperienza proviamo a immaginare il Salone del futuro. Finora l’evento ha sempre vissuto di due anime parallele: quella commerciale, della più grande libreria d’Italia, e quella culturale, coi grandi autori, con gli appuntamenti, coi dibattiti, col confronto serrato delle idee. Sarà sempre così?
«Tutto si evolve, ma non trovo queste due anime in contrasto. E, soprattutto, non si tratta di due anime snob. Il commercio e la cultura sono ciò che fa l’editoria. I libri si concepiscono e si scrivono, ma poi devono essere venduti. E poi il nostro compito ha un obiettivo rilevante: quello di proteggere la filiera e di prestare costante attenzione ai piccoli editori, una delle anime vincenti e portanti del Salone. Quando dico proteggere la filiera intendo dare il giusto rilievo alle tante professioni dell’editoria, in particolare a quelle meno visibili. Il libro è il risultato finale di un lungo processo, dove gli attori sono molti e tutti preziosi».
Guardando sempre al futuro, cosa ti piacerebbe migliorare nel Salone?
«Mi piacerebbe un Salone sempre più internazionale. Lo siamo già, ma si potrebbe fare meglio. E poi vorrei che fosse maggiormente aperto verso i nuovi generi, per correndo nuove direzioni, un luogo di anticipazione. Quindi un Salone ancora più grande, sempre più attrattivo e connesso con la città».
Di getto e senza pensarci troppo: quali sono i cinque libri che hai amato e che ami di più?
«“Anna Karenina” di Lev Tolstoj, quando lo rileggo ho l’impressione che la protagonista evolva con me. “Lessico Famigliare” di Natalia Ginzburg, il libro che mi ha fatto venire seriamente la voglia di scrivere, il libro che quando l’ho letto ho pensato che avrei voluto scriverlo io. E poi, tra i capolavori di fine Novecento, “Pastorale americana” di Philip Roth. Nella cinquina non può mancare un altro grande classico: “Madame Bovary” di Flaubert. Chiudo con un’opera contemporanea: “Olive Kitteridge” di Elizabeth Strout, magistrale raccolta di racconti strutturata in forma di romanzo, uscito in Italia nel 2009».
Nella tua rubrica per Il Foglio – Lettere rubate – e in altri tuoi interventi il tema della famiglia è rilevante. Oggi hai due figli, un nuovo lavoro particolarmente impegnativo, continui a scrivere e vivi a Torino, che non conoscevi. Come riesci a far coesistere tutto questo con la tua dimensione familiare?
«Ci riesco in modo naturale, senza particolari ansie. Anzi, vorrei lanciare un segnale: si può fare, questo scenario non è un casino. E io non ho alcuna nostalgia dei “bei tempi andati”, dove ruoli e mansioni erano separati. Dove ci si doveva dividere rigorosamente i compiti. Inoltre, nella mia professione, la tecnologia ha cambiato tutto: oggi posso scrivere, leggere e comunicare ovunque. Il mio lavoro dipende solo in minima parte dai luoghi dove lo svolgo: in ufficio, a casa oppure in viaggio. Certo serve che la città che ti accoglie sia tua complice, con servizi adeguati, spazi belli e piacevoli, atmosfera cordiale. Torino è tutto questo».
Un politico torinese tra i più amati, Domenico Carpanini, fece sua la frase di Gabriel Garcia Marquez “una città dove vale la pena crescere dei figli”. Pensi che Torino sia così?
«Ne sono convinta e me ne sto rendendo conto col passare del tempo. E parlo delle scuole, dei giardini, dei tanti progetti per i più piccoli nelle strutture comunali. E poi c’è il bello che ci circonda, quel grande fiume con attorno il verde dove connettersi con la natura e stare bene. Sicuramente coi propri figli».
(foto MARCO CARULLI e SALONE DEL LIBRO)