Torino, Speciale Torino Futura 2022
Ricordo uno stupendo, tenero e ardente capitolo di un libro di Alberto Arbasino (credo Trans-Pacific Express) in cui lui esaltava la bellezza assoluta della piazza principale di Voghera, la sua città. In sostanza, diceva ai turisti indefessi del mondo che era inutile andare per baie splendide tipo Hong Kong, San Francisco, Rio, Sydney, anche eccome Portofino (le ho “fatte” tutte, aiuto), o scalare vette sublimi o solcare mari degli dei, dovunque bastava chiudere gli occhi e pensare a quella piazza, che risultava sempre meglio del meglio. Ecco, io sono all’occaso di una vita bellissima, bene farcita di figli e nipoti, in cui sono stato pagato per fare le cose che se ricco avrei pagato eccome per fare, cioè girare il mondo da giornalista anche non spesato e retribuito come invece è stato, assistere ai massimi eventi sportivi, scriverne e vedere pubblicati sui giornali i miei articoli. Ho insomma goduto tante estrazioni favorevoli di una lotteria esistenziale di cui ho comprato sì un sacco di biglietti con un lavoro durissimo e precoce (dai 17 anni, e vado verso gli 87 e mica mi fanno smettere), ma in cui ho avuto la fortuna appunto di essere spesso estratto. Ora sono all’occaso, e avverto che avrei bisogno di un’altra vita per pagare il debito verso la terra che ha dato i natali ai miei genitori e a me, il Piemonte, e la mia città – Torino – che ho trascurato per almeno mezzo secolo di viaggi, spalmati ogni anno su un duecento giorni, stando stretti e non calcolando le trasferte di corta durata.
Ora sono all’occaso, e avverto che avrei bisogno di un’altra vita per pagare il debito verso la terra che ha dato i natali ai miei genitori e a me, il Piemonte, e la mia città – Torino – che ho trascurato per almeno mezzo secolo di viaggi, spalmati ogni anno su un duecento giorni, stando stretti e non calcolando le trasferte di corta durata
Sono figlio di una cuneese di Mondovì, figlia di una mia nonna di Saluzzo che, se le annunciavo una trasferta a più di dieci chilometri da casa, mi diceva in piemontese di fare attenzione, quel posto era “più lontano che l’estero”. Sono figlio di un biellese di Crocemosso sportomane (grazie, papà, che mi hai fatto sportomane e tifoso granata come te) che mi parlava sempre di due suoi favolosi viaggi a Parigi, uno per i Giochi Olimpici 1924 in compagnia del suo amico fraterno Giampiero Combi, poi portiere della Juventus e dell’Italia campione del mondo, l’altra per andare a vedere Joséphine Baker che alle Folies-Bergère cantava in topless «J’ai deux amours, mon pays et Paris». Sono totalmente torinese e piemontese, anche se non ho una piazza speciale da sovrapporre al mondo tutto, chiudendo gli occhi come Arbasino comanda. Mia carenza, mio difettone, mio eccesso di viaggi assortiti. Per il ciclismo a tappe (43 fra Giri d’Italia e Tour de France), i Giochi Olimpici (25) e i Mondiali di calcio (7), per servizi speciali di mia invenzione. Ho passato in totale sei mesi in Giappone, cinque negli Stati Uniti, anche per l’allunaggio 1969, quattro in Canada, tre fra Brasile, Argentina e Venezuela, uno in Nigeria, uno fra Sudafrica e Congo, uno nella quasi inaccessibile Cina 1966. Ometto l’Europa, troppo facile, e i “vedi, tocca e fuggi” un po’ dovunque. Pochissimo Canavese (spesso in apnea andando a sciare in Valle d’Aosta), poco o nulla della parte piemontese del Gran Paradiso e dell’Alessandrino, Langhe e Roero troppo da ghiottone, Verbano non pervenuto nella mia vita di scrivano, il Biellese il 2 novembre per visitare le tombe degli avi paterni. Insomma, orrende carenze. E una colpa speciale, direi snob: tantissimo Messico, per vent’anni le ferie lunghe nella Baja California, dove le balene vanno a far l’amore, spendendo meno, viaggio incluso, che alla pensione Mariuccia in Liguria. E per lavoro, in quel Paese meraviglioso e gaglioffo, un anno sommando tanti eventi sportivi e contorni (Olimpiadi, Mondiali di calcio, record dell’ora di Moser…). A scrivere così, confessando e scusandomi qui con la mia terra, espio in qualche modo? Penso di no: scrivere mi piace, dunque non vale. Mi sto (ancora) gratificando. E allora?