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Tra le pieghe della storia

di Gianni Oliva

La solitudine di Eleonora Duse a Torino

Torino, Autunno 2022

Gennaio 1880: Eleonora Duse arriva a Torino, scritturata come seconda attrice dalla compagnia di Cesare Rossi. Ha 21 anni, un’infanzia e una giovinezza trascorse sui palcoscenici di provincia al seguito del padre, un successo nazionale recente ottenuto con la Teresa Raquin di Zola. Prende alloggio in una locanda a fianco del Teatro Carignano, nel piccolo vicolo che oggi porta il suo nome. Sulla scena esprime tutta la sensualità della sua indole, ma quando cala il sipario, la Duse di quell’inverno torinese è una donna disperata. Nei mesi precedenti, a Napoli, ha incontrato il primo amore, Martino Cafiero, direttore del Corriere del Mattino, un uomo che ha vent’anni più di lei, intellettualmente affascinante, figura importante nella società napoletana dell’epoca. Quando Eleonora scopre di essere incinta, Cafiero si raffredda, non vuole saperne di uno scandalo, la abbandona con toni sbrigativi. Ed è così che lei accetta la proposta dell’impresario Rossi, che ha affittato il Teatro Carignano e creato una compagnia semistabile, ma quando arriva a Torino è una donna sconfortata. Scrive all’uomo che l’ha lasciata con toni accorati: «Salvami da questa spaventosa nemica che mi persegue e mi opprime, salvami dalla solitudine che è qui nel silenzio della mia camera». Man mano che la gravidanza avanza e lei sente il bambino muoversi, la disperazione aumenta: «Ma pensa, pensa a quel che, in me, è tuo. O Martino! È questo l’amore? È questo il padre…?». Alla compagnia teatrale ha taciuto il suo stato, ma la pancia ingrossa e diventa impossibile nasconderla. Alla sofferenza sentimentale si aggiunge il timore di essere allontanata e perdere le 7250 lire di ingaggio, l’unico suo sostentamento.

Sulla scena esprime tutta la sensualità della sua indole, ma quando cala il sipario, la Duse di quell’inverno torinese è una donna disperata

Una sera, dopo lo spettacolo, si incammina per le strade della città. Lo ricorderà molti anni dopo, in un’intervista: «Vagai per Torino, nei quartieri pieni di silenzio e senza luce, poi in quello delle donne di malaffare, poi fino alle rive del fiume». Una donna che cammina sola di notte rischia di essere fermata dalle Guardie di Città, portata in carcere e schedata come prostituta. La Duse lo sa, ma non le importa. Sta affiorando in lei l’idea del suicidio: «Vidi l’acqua scura che scorreva sotto di me, e non ebbi il coraggio. Allora tornai indietro. Rientrai nella locanda che era l’alba: raggiunsi la mia stanza e mi lasciai cadere sul letto, senza forze, gelata dal freddo». Quando il suo stato è evidente a tutti, l’attrice trova un’inattesa solidarietà da parte della compagnia di Rossi e un contatto per partorire in un luogo tranquillo: una cascina a Marina di Pisa. I colleghi la aiutano anche a raccogliere la somma necessaria per affidare il bimbo a un orfanotrofio: le barbarie del tempo prevedono che se una donna non ha i denari necessari, per oltre un anno è tenuta a prestare servizio come balia nell’orfanotrofio, costretta ad allattare altri neonati ma non il proprio. Il bimbo non
sopravvive che poche settimane, e la Duse torna presto al teatro e al suo cuore irrequieto: ma quella notte d’angoscia a Torino resterà per sempre nella sua memoria.