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Sentenze bianconere

di Darwin Pastorin

L’estate del 1968

Torino, estate 2018

L’estate del 1968 fu l’ultima estate della mia prima giovinezza. Facevo terza media, giocavo a calcio, tifavo per la Juventus, avevo una fidanzatina dai capelli biondi e mi aveva emozionato leggere ‘Il diavolo in corpo’ di Raymond Radiguet. L’anno dopo, molti fatti avrebbero trasformato la mia vita e il mio modo di essere e pensare: il liceo, la scoperta di Hemingway e di Kerouac, la politica, i cortei, fino ad arrivare al 12 dicembre 1969, alle bombe di piazza Fontana a Milano, alla fine dell’innocenza. Ma in quel 1968 il mondo aveva i contorni del sogno. Gli esami erano andati bene, volevo con tutte le mie forze fare il giornalista sportivo e leggevo e rileggevo, sul quotidiano Tuttosport, gli articoli di Vladimiro Caminiti, che era un vero poeta dello sport. Mancavano poche settimane alle vacanze al mare, con i miei genitori e i miei fratelli: riviera Adriatica, pensione completa, dal cielo gettavano in mare la Mucca Carolina ed Ercolino Sempreinpiedi.

E quella mattina, come dimenticarla? Acquistai in edicola il mio amato Tuttosport ed ecco, a caratteri cubitali, in prima pagina, la notizia: Anastasi alla Juventus! Cominciai a saltare come un grillo. Comunicai al panetterie, e poi al barbiere e infine al macellaio quella fantastica novità

Con il mio amico Maurizio andavamo ad ascoltare di nascosto, cioè senza pagare, i concerti di Ornella Vanoni, Marisa Sannia e Dino. Le tedesche ci facevamo girare la testa e tutto, ma davvero tutto era ancora possibile. Non c’era dolore, non c’erano ferite. La vita era una grande e colorata giostra. E quell’anno arrivò alla mia Juve il mio idolo, sempre e per sempre: il centravanti catanese Pietro Anastasi, acquistato per 660 milioni di lire dal Varese: un colpaccio degli Agnelli, che batterono così la concorrenza dell’Inter. Pochi mesi prima Pietro aveva trascinato, con Gigi Riva, l’Italia a conquistare, allo stadio Olimpico di Roma contro la Jugoslavia, il campionato Europeo: per ora l’unico nella storia azzurra. 2-0 per la nostra nazionale allenata da Ferruccio Valcareggi, e il gol di Anastasi fu di una bellezza travolgente, in semigirata, al volo. Una prodezza sudamericana. E quella mattina, come dimenticarla? Acquistai in edicola il mio amato Tuttosport ed ecco, a caratteri cubitali, in prima pagina, la notizia: Anastasi alla Juventus! Cominciai a saltare come un grillo.

Comunicai al panetterie, e poi al barbiere e infine al macellaio quella fantastica novità. Arrivato a casa salii sopra il tavolo della cucina e diedi vita a una danza frenetica. Mia madre non credeva ai propri occhi e stava per svenire, mio padre tagliò corto: «Hai tempo tre secondi per scendere». Cominciai a ritagliare tutte le foto e gli articoli che riguardavano il mio beniamino, appesi il suo poster nella mia cameretta; mio fratello Lamberto mi regalò un libriccino dal titolo ‘Anastasi favola e realtà’, che ancora oggi potrei citare a memoria, riga dopo riga. Sapevo rifare alla perfezione la sua firma, collezionavo tutte le sue figurine e spesso, in curva Filadelfia, davo via al coro «Pietro, Pietro!». Oggi Anastasi è uno dei miei migliori amici. Lui e la moglie Anna sono una coppia splendida; vennero al battesimo di mio figlio Santiago. E a Petruzzu non smetto mai di ricordare di quando, in un torneo studentesco, sbagliai un rigore cercando di imitare il suo modo di calciare, di piatto destro, dal dischetto.