Tic tac, tic tac, riportiamo indietro le lancette, perché era in quel triste 13 novembre 2017 che cominciavamo a essere campioni d’Europa. In un match di noia cristallina gli Azzurri, quasi per inerzia, andavano a sbattere contro l’arcigna muraglia eretta dai boscaioli svedesi. Fuori dal mondiale e tanta rabbia.
Rileggendo la formazione troviamo quattro eroi di Wembley: Bonucci, Chiellini, Jorginho e Immobile. Attorno a loro sarebbe cresciuta una generazione di invincibili.
Mancini debutta come CT il 28 aprile del 2018 e la storia azzurra cambia passo, con un progetto che si rivelerà rivoluzionario: ricerca del gioco, di un gioco fatto di schemi e di voglia, come in una squadra di club, e selezione persino maniacale degli interpreti, con ben 35 debuttanti assoluti. Il 10 ottobre, pareggio con l’Ucraina, inizia una striscia di risultati positivi che non si è ancora interrotta. I numeri del Mancio non hanno eguali nella storia azzurra: 39 gare disputate, 28 vittorie (di cui le ultime 15 di fila), nove pareggi, e solo due sconfitte. Un rullo compressore, anche se, prima di Euro 2020, qualcuno aveva da ridire sul limitato valore tecnico degli avversari.
Osservazioni frettolosamente riposte quando l’Italia prese a pallate gli olandesi ad Amsterdam, ma ancora di più quando, agli ottavi dell’Euro, la Svizzera, asfaltata dagli Azzurri, giustiziò i campioni mondiali della Francia.
Il risultato degli Europei non è un episodio glorioso frutto di sette belle vittorie, ma la conseguenza di un magnifico lavoro, del giusto approccio alla competizione di un gruppo vincente, della programmazione di una squadra invincibile perché gruppo, patria, allegria e disincanto, orgoglio e fierezza, lucidità applicata, coraggio tanto, paura zero. Merito dell’allenatore enorme? Enorme. Doti umane, prima che tecniche? Altrettanto. Questa è una squadra che gioca in 11, ma è pensata per 20, entra uno ed esce un altro, ma tu non te ne accorgi.
E adesso veniamo alle “mitiche sette”, perché, per vincere l’Europeo, l’Italia le gare se l’è aggiudicate tutte, divorando avversari differenti per talento, gioco e palmares. Il nostro gruppo si rivela poco più che un allenamento, scopriremo più avanti essere sostanzialmente per merito nostro. Quando si arriva alla fase finale, dopo una stagione massacrante, le tensioni della pandemia, le incognite di match ravvicinati e tutti decisivi, non esistono squadre già battute in partenza.
Ma l’Italia scintilla di bel gioco e personalità, turchi e svizzeri sono sparring partner che ci osservano a occhi sgranati, mentre noi giochiamo con qualità e rapidità per loro impossibili. Due 3-0 e siamo già qualificati, prima ancora di mettere sotto il Galles. Ma dopo è un’altra storia, l’eliminazione diretta spaventa per quel tasso di inesorabilità che non permette errori. Agli ottavi ci capita l’Austria e la sceneggiatura propone un thriller che ci inquieta. Dopo lotte corpo a corpo, ruvidi duelli e tackle, ci troviamo avanti di due reti, grazie anche a un rigore cancellato dal VAR. Il loro gol aggiunge brividi al finale ma passiamo noi. E arriva il Belgio, probabilmente la favorita, guidata dal gigante Lukaku, che ti spaventa solo a guardarlo. Per un tempo è l’Italia perfetta, due reti capolavoro di Barella e Insigne mettono i diavoli rossi al tappeto.
Il rigore di Romelu riapre una gara già chiusa e, nel secondo tempo, dobbiamo e sappiamo soffrire, così la final four è nostra, gli avversari la prendono male mentre noi saliamo in paradiso. Cielo azzurro e sereno dal quale la Spagna sembra proprio volerci cacciare.
In semifinale non si soffre solamente, ma si subisce di brutto. Gli iberici ci mettono alle corde, hanno più qualità e palleggio persino irridente. Ma questa è un’Italia che non molla e si porta in vantaggio, perché i gol bisogna farli e non solo meritarli. Dopo il lampo di Chiesa tutto riprende come prima e si arriva, esausti, ai rigori.
Vinciamo noi, perché siamo lucidi e implacabili, come lo saremo in finale, circondati dal catino infernale di Wembley. L’ultima tappa ci vede, per la prima volta nella storia, obbligare gli inglesi alla difesa, alla paura, alla sottomissione di fronte a un gioco che loro possono solo desiderare, ma siamo noi a interpretare. Supremazia territoriale prima e rasoiate dal dischetto poi; Gigio Donnarumma, miglior portiere al mondo, ci manda al settimo cielo e stavolta non scendiamo più.
Dall’alto osserviamo Wembley in tricolore, mentre gli inglesi escono a capo chino sotto la pioggia. Siamo in festa e guardiamo l’orizzonte: Qatar 2022 ci aspetta, tra un anno e mezzo noi saremo sempre gli stessi, chi ci insegue è avvertito.
Pagellone europeo 5.0
Futuristico, senza voti o giri di parole; in ritardo, forse appositamente dopo la “ressa”: ecco il nostro pagellone europeo
Donnarumma
Niente di lui pare avere 22 anni. Segnargli è impresa per pochi. Gigante buono dal talento cristallino. Classe ’99 come un ottimo Dom Pérignon. Ai rigori, con Spagna e Inghilterra, si guadagna l’intitolazione di una piazza.
Bonucci – Chiellini
Difficile separare la coppia, come certe specie di pappagalli. Si mettono Lukaku nel taschino, insieme alla metà dei centravanti d’Europa. In finale Chiello suona la carica e Bonny ci manda ai supplementari. Duri come la roccia, e come gli italiani che non si arrendono mai.
Spinazzola
Ha acceso di entusiasmo un Paese intero e l’ha fatto sprofondare nello sconforto. Solo i grandi ci riescono. Seppur con le stampelle, continua a seguire agli Azzurri. Eroe nazionale.
Di Lorenzo
Parte fuori, prende posto e non esce più. Toppa qualche situazione, ma onestamente come fai a dirgli qualcosa? Se gli avanza un polmone lo prendiamo volentieri noi.
Emerson
Gradita contaminazione dalla terra della capoeira. Mancino, fresco campione d’Europa (il secondo in rosa). Dopo l’infortunio di Spinazzola tocca a lui, non trema mai.
Jorginho
Chi pensa ancora che l’inclusione faccia male a un popolo, guardi come smista palla il genio da Imbituba. Così tanto maestro che potrebbe fare il ministro dell’Istruzione.
Barella
Orgoglio sardo e moto perpetuo. Se mettessimo metà del suo impegno in campo nel ripensare la nostra burocrazia, avremmo già risolto molti problemi di questo Paese.
Locatelli
Parte per sostituire Verratti, segna ed è amore. Per un po’ scegliere tra lui e il giocatore del PSG è come chiedere se vuoi più bene a mamma o papà. Se il futuro è questo, siamo sotto una buona stella.
Verratti
Lo aspettavamo più del Natale. Arriva un po’ affaticato ma la classe emerge in fretta e diventa decisivo. Con un decimo della sua personalità il PD avrebbe un’unica corrente.
Pessina
Non dormirà per un paio di mesi: non è convocato fino a un attimo prima dell’Europeo, poi entra, segna e decide l’ottavo con l’Austria. Credeteci sempre.
Berardi
È l’Italia di chi merita, e c’è tanto Sassuolo. Mimmo parte forte, incanta, cede il posto a Chiesa ma risulta comunque fondamentale.
Insigne
“O tir a gir” più famoso del mondo sta diventando un giocatore completo. Fa le due fasi, gestisce il ritmo di gioco e fa impazzire milioni di italiani con un tormentone calcistico destinato alla storia.
Chiesa
Re Chicco: tutto quello che tocca diventa oro. Non sa neanche lui bene come ma tira e fa gol, sempre e in ogni modo. In questo momento il suo indice di gradimento è poco sopra quello di Draghi.
Immobile
Si ritrova nel ruolo che meno preferisce: quello di chi non fa gol. Sgomita, lotta e raramente rifiata. Non sempre va come vorremmo, ma non possiamo smettere di lottare.
Belotti
Il centravanti numero 2. Quando entra, una casa su due a Torino sussulta e stringe un po’ più forte la sciarpa. Trasforma l’erba in un ring e non si tira mai indietro. Difficile non amarlo.
Sirigu, Meret, Acerbi, Toloi, Bastoni, Florenzi, Castrovilli, Cristante, Bernardeschi, Raspadori
La forza di questa Italia è il gruppo. Chi entra si fa trovare pronto, in ogni partita, anche solo per qualche minuto. Umiltà, professionalità e amore per questo Paese.
Mancini
Ogni italiano in questo momento affiderebbe a lui qualsiasi cosa: dalla gestione del governo a quella del barbecue di Ferragosto. È stato il nostro condottiero, elegante e silenzioso; preparato, deciso, innamorato di questo Paese. I timonieri di domani, in ogni campo, prendano spunto da lui.
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