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Torino, 13 maggio 2020
Mia mamma si chiama Claudina, domenica era la sua festa, ma non ho potuto farle gli auguri, lei non c’è più da qualche anno. Il suo è un nome strano, la traduzione del francese Claudine, scelto da mia nonna, nata a Parigi nel 1891, decimo arrondissement. In realtà a Parigi ci passò solo qualche mese e poi tornò a Torino, perché il bisnonno, l’anarchico Alfieri, venne perdonato dopo una fuga rocambolesca che portò lui e la bisnonna a vivere di fronte al Canal Saint Martin. Storia ribelli e viaggianti, che forse hanno formato il mio DNA. Non so se io abbia o meno la sindrome di Wanderlust, però tanto amo la mia città quanto desidero, da sempre, mettermi in marcia.
Oggi siamo di nuovo liberi e penso che nessuno potrà più rimettere la chiave nel lucchetto. Ma ‘fare attenzione’ ci aiuterà come in un viaggio
Così ad ogni partenza, per centinaia di partenze, mia mamma non faceva lunghi discorsi ma diceva solo due parole: ‘fa tensiun’, fa attenzione in piemontese. Che poi me lo diceva quando andavo in Brasile, ma anche se prendevo l’auto di sera tardi. Quel ‘fa tensiun’, dal suono quasi orientale, appartiene alla nostra lingua: sintetica, scorbutica, a modo suo musicale. Nel concetto di ‘fa tensiun’ compaiono nell’ordine i seguenti principi: renditi conto di dove vai, scegli bene chi ti accompagna, ascolta ciò che ti dicono quelli del posto, prima pensa (anche un paio di volte) e poi fai le cose, guardati bene intorno. Il ‘fa tensiun’ non prevede la formula finale interrogativa: ‘t’lasfaittensiun?’ (hai fatto attenzione?). Perché, se sei tornato, non ce n’è più bisogno. Io quelle due parole le ho ben scolpite in mente. Mi sono servite in Libia, nel Bronx e in tanti altri posti. Ma sono preziose anche nella Torino di oggi, in una fase 2 dove contano molto di più loro che mascherine e distanziometri.
Oggi siamo di nuovo liberi e penso che nessuno potrà più rimettere la chiave nel lucchetto. Ma ‘fare attenzione’ ci aiuterà come in un viaggio, anche se stiamo solo passeggiando in piazza Castello. Noi torinesi ce lo abbiamo dentro, ce l’hanno insegnato generazioni di mamme: quelle dei Bersaglieri che andavano in Crimea, quelle dei soldati in partenza per il Piave, quelle degli alpini in marcia verso la Russia. Poi, al ritorno, alla mamma torinese bastava un abbraccio e le spalline finivano appese alla Consolata. Ecco, purtroppo di mamme torinesi non ce ne sono per tutti, perché questa lezione meriterebbe di essere mandata a memoria da tanti figli viaggianti.
Il tuo paese non dovrebbe andare ad acciuffarti dall’altra parte del mondo quando non dovresti essere lì, quando, dal giorno del tuo arrivo, non hai prestato la minima attenzione agli avvertimenti, quando le tue ragioni sono nobili ma velleitarie. Il premier degli italiani non è piemontese, perché altrimenti, alle frasi di rito, avrebbe aggiunto ‘T’lasnenfaittensiun’ (non hai fatto attenzione). E sotto la mascherina zero sorrisi.