Torino, 29 marzo 2020
Me lo immagino e mi pare di vederlo, chino sui volumi giallognoli, alla ricerca del comma, la fronte imperlata dal sudore nel gesto di riscrivere per l’ennesima volta il capoverso per poi cancellarlo e rimodellarlo, più austero, contorto se possibile. Fuori infuria la battaglia, le infermiere quelle di Crimea corrono senza tregua, i medici dietro la mascherina nascondono la fatica, e sperano con gli occhi di non trasmettere la paura alle donne e agli uomini sulle barelle.
Fuori infuria la battaglia, le infermiere quelle di Crimea corrono senza tregua, i medici dietro la mascherina nascondono la fatica, e sperano con gli occhi di non trasmettere la paura alle donne e agli uomini sulle barelle
Al fondo del corridoio, in quella stanza buia, nello stesso istante, il burocrate continua il suo cavilloso esperimento, prova e riprova, perso nella punteggiatura, per poi misurare lo spazio per le firme di giustezza, trovare una sistemazione per le date, e per i timbri dell’autorità, simulacro dell’Italia che non cambia neppure sotto le bombe. Neppure se affacciandosi dalla finestra la città è vuota e si sentono solo le sirene.
Me lo immagino e mi pare di vederlo mentre alla luce del suo impassibile lume, il pennino nell’inchiostro, completa la sua nuova autocertificazione e, indifferente a qualunque rovina, soddisfatto la libera per il protocollo.