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Torino, estate 2021
Durante la vostra prossima passeggiata al Parco del Valentino, prestate attenzione a una lapide che nel 2007 il Comune di Torino, auspice l’Università di Torino, pose sull’angolo di corso Massimo d’Azeglio, quasi di fronte agli edifici della Facoltà di Scienze che Primo Levi (1919-1987) frequentò per laurearsi con lode in Chimica nel 1941, un paio d’anni prima di essere arrestato dalla milizia fascista e poi internato nel lager di Buna-Monowitz (Auschwitz III).
Chi di voi è più attento si accorgerà che, finalmente, accanto alla lapide è comparso, grazie all’intervento del Servizio Giardini della nostra città, un faggio. Questo tanto umile quanto simbolico albero è stato piantato grazie alla tenacia di Paolo Bertinetti, professore emerito dell’Università di Torino, che per anni ha atteso fiducioso che questo piccolo omaggio al grande Primo Levi venisse completato. Accanto alla lapide, infatti, avrebbe dovuto essere piantato, fin dall’inizio, un faggio. Cosa che non avvenne per anni.
Nella tradizione ebraica piantare un albero è simbolo di pace, di fratellanza, di amore verso la terra: rappresenta la continuità della vita. In Israele vengono piantati degli alberi in ricordo di eventi passati, in onore o memoria di coloro che si sono distinti per meriti, o per celebrare ricorrenze, sia tristi che liete, come segno tangibile di amore verso la natura.
Chi vi scrive riceve ogni anno, come regalo di compleanno da parte di amici israeliani, un attestato che certifica che dieci piante sono state messe a dimora a suo nome sul Monte Carmel. Considerati gli anni e il numero di amici israeliani, si può parlare ormai di foresta.
Piantare degli alberi è una bella abitudine che dovremmo imitare, come sta cercando di invogliarci a fare l’Associazione WeTree, intervenuta da catalizzatore per completare l’omaggio a Primo Levi con questo faggio
Una gran bella abitudine che dovremmo veramente imitare, come del resto sta cercando di invogliarci a fare l’Associazione weTree, intervenuta da catalizzatore anche per completare l’omaggio a Primo Levi con questo faggio.
Nella Bibbia, molte sono le allusioni e molti i riferimenti agli alberi: quasi sempre si tratta di alberi importanti per la loro funzione alimentare, in qualche caso di alberi che simboleggiano la benedizione divina, in tutti i casi di alberi che crescevano e crescono nella regione palestinese. Il faggio non viene citato: non è un albero di quei luoghi, ma lo è dei nostri colli e dei nostri monti. È forse quello più nobile, ispiratore delle colonne delle cattedrali gotiche, accostato nel- l’antichità a miti e leggende, ritenuto portatore di poteri magici, considerato ponte tra materia e spirito, tra uomo e Dio. O, più semplicemente, portafortuna, ragion per cui un braccialetto del suo legno aiuterebbe la realizzazione di un desiderio.
E poi, come ci ricorda Paolo Bertinetti, c’è il verso di Virgilio, che certamente Primo Levi studiò al Liceo D’Azeglio: «Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi» (Titiro, tu che stai sdraiato sotto il riparo di un ampio faggio). Col tempo, anche il faggio piantato accanto alla lapide di Primo Levi la coprirà con l’ombra della sua chioma. E nelle calde giornate estive invoglierà il passante a fermarsi, a leggerla e a ricordare. E forse anche a rileggere Primo Levi.