Torino, Autunno 2024
Pensare lo sport sotto forma di immagine genera un paradosso: lo sport vive in una dimensione fatta di dinamismo e precisione, che sono anche gli ingredienti del suo potere estetico, ciò che ci tiene incollati allo schermo quando lo seguiamo da spettatori. È un grande spettacolo che non va interrotto, un rituale con una trama complessa: le pause pubblicitarie sono tanto fastidiose quanto quelle che arrivano guardando un film, il risultato finale è detestabile quando viene “spoilerato”, esattamente come se si trattasse di un romanzo.
Lo sport, insomma, va goduto dall’inizio alla fine: perdersi un pezzo nel mentre può determinare gravi lacune, capaci di minare la comprensione della partita o della gara. Lo sport, per via di queste sue dinamiche interne, è davvero come un film, e chi ne è appassionato sa quanto sia indispensabile riuscire a cogliere ogni dettaglio per goderselo fino in fondo.
Per questo motivo viene lecito domandarsi: cosa racconta davvero la fotografia sportiva? Quando leggiamo sui quotidiani il riassunto dell’evento sportivo che ci interessa, in un articolo corredato da qualche immagine, rivediamo soltanto i momenti salienti, le azioni più spettacolari, ciò che presumibilmente ci ha emozionato di più. Il racconto vero e proprio viene inevitabilmente a mancare, i dettagli naturalmente persi, rimasti attaccati al ricordo della trama della partita, se l’abbiamo vista, impossibili da recuperare solo attraverso qualche frame.
Ecco così che la divisa del difensore divenne universale, slegata da qualunque formazione
Se la fotografia in sé non riesce a restituire la complessa dinamica di un’intera prestazione sportiva, in realtà riesce in un’impresa altrettanto ardua: rendere un singolo momento un’icona capace di durare negli anni. Lo sport comprende tante piccole azioni, attimi non ripetibili in cui può decidersi il destino di una squadra o di un singolo atleta, mentre tutto concorre alla prestazione migliore per entrare nella storia di quella specialità: abbiamo avuto modo di vivere queste suggestioni in occasione delle Olimpiadi di Parigi pochi mesi fa.
Come non ricordare l’immagine-icona sportiva forse più famosa di sempre, quella della rovesciata del torinese Carlo Parola, storico calciatore della Juventus, immortalata nel 1950 da Corrado Bianchi e divenuta, dagli anni Sessanta, simbolo del calcio e copertina degli album di figurine dei calciatori Panini? Questa è una fotografia che tutti abbiamo posseduto o possediamo ancora, senza essere esperti di fotografia o fini collezionisti. Un capolavoro assoluto, anche in virtù delle modifiche che vennero eseguite dall’artista Wainer Vaccari per eliminare ogni riferimento alla squadra di appartenenza di Parola.
Ecco così che la divisa del difensore divenne universale, slegata da qualunque formazione, per comunicare solo ed esclusivamente l’estetica grandiosa che il calcio possiede quando messo in campo da atleti formidabili. Una fotografia di cui si ricorda addirittura l’anniversario – della fotografia, sottolineiamo, non della partita! – e possiamo infatti dire che il prossimo 15 gennaio compirà ufficialmente 75 anni.
Ora che l’attenzione generale, soprattutto italiana, è particolarmente attratta dal mondo del tennis per via del “fenomeno Sinner”, si tenga conto che la prossima azione iconica potrebbe svolgersi proprio qui, su campo torinese, durante le ATP Finals di novembre. Dall’immagine di Corrado Bianchi fotografi lo siamo diventati tutti, e allo stesso tempo si è persa un bel po’, purtroppo, l’attitudine a concepire immagini simboliche e, soprattutto, durature. Aspettiamo che qualcuno ci convinca del contrario.