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Torino, estate 2019
3 settembre 1989 – 3 settembre 2019. Trent’anni senza Gaetano Scirea, l’Angelo Calciatore, il libero che non venne mai espulso, che conquistò scudetti e trofei nazionali e internazionali con la Juventus e diventò campione del mondo con l’Italia nel 1982 in Spagna, in quell’impresa epica, tuttora avvolta dal mito e dalla nostalgia. Gai: l’amico che mi manca, giorno dopo giorno, la persona sincera, gentile, mai banale, che al fiume delle parole vane preferiva il suono delicato del silenzio. Era amato da tutti, e rispettato. La sua morte, in una strada polacca, quando era vice, in bianconero, di Dino Zoff, suo fratello, fu un colpo duro, un pugno inaspettato allo stomaco, un urlo collettivo di dolore. Era impossibile non volergli bene, stimarlo. A quei tempi i giocatori avevano come unico ‘filtro’ alle tante chiamate per un’intervista la segreteria del telefono fisso. Ma lui rispondeva a chiunque: alla firma prestigiosa del New York Times come al giovane aspirante cronista di un settimanale di provincia.
Il calcio, ogni volta, dovrebbe ricominciare da Scirea. Invito gli allenatori delle squadre minori, prima dell’inizio della stagione, a chiamare i ragazzi intorno a loro e a raccontare, a quei giovani che rappresentano il futuro, la bellezza, la meraviglia, la classe, la sportività, l’eleganza di Gaetano
E alla fine della chiacchierata era lui, sempre, a dire «grazie». La moglie Mariella e il figlio Riccardo, con i due splendidi nipotini, fanno parte delle mie amicizie sempre più rare, sempre più care. Parlo spesso di Gaetano in occasione dei miei incontri, ai festival letterari per le presentazioni di libri, quando vado nelle scuole o nelle biblioteche. Spiego di quel suo essere un fuoriclasse sul verde del prato e nella vita quotidiana, di quel suo modo di giocare a testa alta, capace di fare, senza problemi, oltre al difensore, anche il centrocampista o l’attaccante: era, insomma, un calciatore ‘universale’. Fuori dal campo, sorprendeva per le sue maniere garbate; e per quel suo indossare la gloria con semplicità, quasi con timidezza. Rifiutava le luci della ribalta, le feste. La notte della conquista della Coppa del Mondo, 11 luglio 1982, al Santiago Bernabéu di Madrid, con il presidente-partigiano Sandro Pertini felice come un bambino in tribuna d’onore al fianco del re Juan Carlos, Scirea Zoff rimasero in camera d’albergo. Niente delirio notturno. Loro due, in quella stanza fuori da tutto e da tutti, qualche panino, una felicità racchiusa nei loro sorrisi leggeri, e la voglia di tornare a Torino per riabbracciare la famiglia.
Il calcio, ogni volta, dovrebbe ricominciare da Scirea. Invito gli allenatori delle squadre minori, prima dell’inizio della stagione, a chiamare i ragazzi intorno a loro e a raccontare, a quei giovani che rappresentano il futuro, la bellezza, la meraviglia, la classe, la sportività, l’eleganza di Gaetano. Perché il football, per ritornare ‘gioco’, deve dire basta alla violenza, al razzismo, all’intolleranza, all’inciviltà (di troppi padri e di troppe madri). Il football deve ripartire, per una nuova epifania, da quell’Esempio. Da quell’essenziale ed esistenziale punto di riferimento. Al mio amico campione ho dedicato un libro, che è una lettera di saudade, affetto e gratitudine (‘Gaetano Scirea. Il Gentiluomo’, Giulio Perrone Editore). Un libro che non è una biografia, ma una testimonianza: l’elogio del mite che sapeva farsi rispettare con un solo sguardo, ‘libero’ per davvero, in ogni suo momento. È giunto il tempo del commiato. Che è poi un arrivederci e non un addio. Saluto Gaetano con la ‘chiusa’ di ‘L’ombra delle colline’ di Giovanni Arpino: «Saremo condannati solo se rifiuteremo d’esprimere il bene segreto che ci attende nell’umile alba di ogni giorno».