Torino, 4 aprile 2020
C’erano inverni molto freddi in Piazza Vittorio quando, nella settimana del carnevale, le giostre e le bancarelle occupavano tutta l’area. Il vento gelido si incanalava in via Po arrivando da nord, dalle montagne che restavano innevate per buona parte della primavera. Il freddo, come un affluente del Po, sfociava nella piazza costringendo la gente a sprofondare nei lunghi cappotti di moda in quei tempi. A volte la nebbia non consentiva di vedere dall’altra parte della piazza e l’umidità del fiume, quello vero, premeva sulle tempie e entrava nelle ossa. Io attendevo quei giorni per un anno intero, ricordo il profumo dello zucchero filato come se fosse ora, eppure non mi è mai piaciuto. Raramente c’era il sole. Una voce gracchiante incitava i bambini a sollevarsi dalla propria seduta sulla giostra che girava, per prendere la coda di Paolino, un pupazzo impiccato ad una pertica.
Io attendevo quei giorni per un anno intero, ricordo il profumo dello zucchero filato come se fosse ora
Nel 1630 in questa piazza, dall’alba al calar del sole, un altro Paolino, dell’età di undici o dodici anni, aiutava a scaricare i carretti dei beccamorti. I cadaveri in putrefazione erano accatastati in pire che arrivano fino al primo piano degli edifici, prima che il rogo riportasse quei resti umani alla condizione di cenere. I morti venivano buttati in strada dalle finestre finché c’erano in casa familiari, poi anche loro morivano. Era stata la peste, uccise un terzo della popolazione di Torino e trasformò la città in un inferno. Quante cose sono accadute in questa piazza nel tempo. I luoghi sono teatri della storia in cui vanno in scena tragedie, opere liriche e commedie e, ognuno nel suo tempo, si sente un po’ protagonista su quel palco, ma solo per un istante.
La piazza è ancora vuota mentre percorro i portici per la distanza consentita in questi giorni, ma ancora per poco. Il suono di un sax riaprirà le danze e i dehors dei ristoranti torneranno a consentire ai torinesi di godere di un anfiteatro straordinario, di vedere al tavolo accanto cittadini del mondo che fanno le fotografie ad un piatto di vitello tonnato ed essere orgogliosi della propria città. Paolino aveva gli occhi chiari e dei lunghi capelli biondi che legava dietro alla sua nuca con un pezzo di corda di canapa.