Home > People > Editoriali > Il contatto degli occhi col reale > La fotografia è un’arte giovane?
Torino, Speciale Territorio 2024
Ai giovani (qui mi riferisco a una fascia di popolazione compresa tra i 12 e i 25 anni) la fotografia piace, e molto. E per fotografia intendo farla, praticarla, capirne le regole per poter produrre immagini migliori di quelle che si è soliti realizzare senza alcuna conoscenza. Ne ho avuto prova in più occasioni, quest’anno, alle scuole superiori o al primo anno del Politecnico: «Bella la teoria, sì, ma se voglio fare questa cosa come faccio? Posso farlo anche se ho solo il tele fono?».
La fotografia è inscindibile dalla sua natura tecnica, è una faccenda pratica, da padroneggiare nei dettagli. Avete notato, a questo proposito, i manifesti appesi in città del nuovo festival di fotografia Exposed – Torino Foto Festival, finalmente inaugurato: sono state addirittura riportate le proprietà tecniche del file dell’immagine, quasi a ribadire come da quella manciata di punti fermi non si possa proprio scappare.
Più che stare sui libri di storia della fotografia, il ragazzo oggi è più facile che imbracci il mezzo che ha a disposizione ed esca per cercare di emulare immagini viste online, da altri contemporanei, o per cercare di dare sfogo alla propria visione delle cose. D’altronde, è più facile che un giovane oggi entri in possesso di un device elettronico – telefono, tablet, computer – prima di poter visitare la prima mostra in un museo: i suoi occhi iniziano più probabilmente a incamerare immagini digitali che scorrono nel flusso del web, anziché immagini fisiche, appese.
Il giovane per antonomasia è un’entità in cammino verso la propria scoperta
Non è un caso che esista così tanta negligenza, quando si tratta di fare una mostra a un grande fotografo del passato, nel riprodurre la stampa con le misure originali con cui è stato stampato all’origine dal suo autore. Abituati agli schermi, le misure fisiche perdono sempre più di significato, e così ogni altra caratteristica che lo sguardo diretto può cogliere di un oggetto materiale. Non solo, lo schermo abitua a una visione pretta mente verticale, tanto da far sentire stranito il ragazzo di oggi a cui si affida un esercizio fotografico, che è quasi certo che non ne farà quasi nessuna, neanche istintivamente, in orizzontale. Nulla di troppo preoccupante, ma indicativo di un limite ormai imposto alla visione che richiede uno sforzo a volte non indifferente per liberarsene.
Certamente esistono, tra i giovani, fotografi professionisti e artisti che ottengono ottimi apprezza menti dalla critica, partecipando a mostre importanti e a fiere internazionali. I temi più battuti ruotano quasi tutti attorno al grande concetto del l’identità: territoriale, politica, storica, sessuale. Il giovane per antonomasia è un’entità in cammino verso la propria scoperta, e l’arte non può che constatarne le tracce, gli indizi trovati nel tragitto. Forse la stimolazione costante dovuta ai social rende più frequente l’emulazione di altri stili, riducendo il potere della propria originalità.
Nei nuovi lavori la fotografia sempre più di frequente assume un ruolo installativo, lontano dalla tradizionale cornice appesa al muro, dall’immagine curata, che può dire tutto da sola: spesso la si vede associata ad altri mezzi di espressione, primo fra tutti il video, ma anche la scultura, diventando parte di un’installazione eterogenea, contributo bidimensionale per operazioni più composite ed eterogenee. È un bene? È un male? Tendenzialmente, è così.
I dogmi che ci sono stati insegnati come inviolabili vengono ripresi e scossi dall’interno: forse c’era troppa rigidità prima, forse più severità e autocritica servirebbero ora, ma temo sia così per tutte le nuove generazioni (e un po’ so di cosa parlo).