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Una mamma a Torino

di Sara D'Amario

I materassi

Torino, Speciale Territorio 2024

Ogni tanto il mio corpo si alza ma la testa resta nel letto. È solo il richiamo del materasso, niente di preoccupante. Alcuni la chiamerebbero erroneamente stanchezza o resa o crollo dopo aver tenuto tutto in piedi, anche se stessi, con la sola forza dei nervi (che in realtà si chiama volontà, i nervi c’entrano fino a un certo punto).

Seguitemi per qualche riga, vi faccio fare una rapida visita guidata dentro di me, tipo quelle dei cartoni animati Siamo fatti così.

Per agevolare questo incontro tra le due componenti, ho un trucco: mi aggrappo ad alcuni pensieri. Il pensiero salvagente è blu, occupa circa 152 centimetri cubi della mia mente, mi sveglia come un sorso d’acqua fresca quando si è al sole. Funziona sempre. Il pensiero salvamente è dorato, gioca nella mia testa per ore, mi sveglia riflettendo una luce brillante dentro ai miei occhi. Può essere capriccioso, insistente, ma molto divertente. Il pensiero salvacorpo è bianco, è consistente ma non pesa, fluttua, è il collante perfetto per svegliarmi facendomi sentire tutta intera ma leggera. E stamattina è uno di quei giorni che vi dicevo all’inizio, il corpo si è alzato all’alba per portare mia figlia a una gara di karate, ma la testa è rimasta spalmata sul materasso. D’altronde, il settimo giorno si dovrebbe riposare, si sarà detta. Saliamo in macchina.

Aaaah…Ugh…Ahiaaa… Le gare di karate si devono guardare

Torino la domenica mattina è come una gatta acciambellata, tutto è morbido, liscio, lucido, le strade vuote permettono di vedere la sua pancia che si solleva piano mentre respirano le foglie, qualche persiana si apre stiracchiandosi e le creature mattiniere fanno un ron ron di piacere sedute nel dehors di un bar già aperto, davanti a cappuccino, brioche e un quotidiano da sfogliare senza fretta.

«Che vento», sussurro. «Veramente non si muove una foglia, mamma», osserva mia figlia. Mi guarda. Capisce. Quando sono in questa strana dimensione, a metà tra il sogno e la veglia. Nel palazzetto dello sport, la mia atleta, concentrata, va agli accrediti degli agonisti e io raggiungo gli spalti. Guardo i tatami: a ognuno il suo materasso, penso mentre mi si appannano gli occhi.

Non faccio in tempo ad aggrapparmi ad uno dei miei tre pensieri per tornare in superficie, qualcos’altro mi acchiappa prima. È un attimo, come quando si sgorga un lavandino e quel vortice d’acqua defluisce all’improvviso. Torno allo stato di coscienza trascinata da una serie di urla strazianti.

Il pensiero blu, insieme a quello dorato e a quello bianco, mi consigliano di aprire gli occhi senza fare troppe storie: non posso sempre aspettare che siano loro a traghettarmi di là. Aaaah…Ugh…Ahiaaa… Le gare di karate si devono guardare, i kiai degli atleti, quei suoni che convogliano la massima energia vitale verso l’esterno, possono essere fraintesi se si hanno gli occhi chiusi o si dorme da svegli. “Sembra di essere nella stanza delle torture, dove se c’è un materasso è sicuramente da fachiro, un giaciglio di rovi se tutto va bene” mi sussurra il pensiero dorato, ridacchiando seducente e dispettoso. Insomma, mi capita questo, ogni tanto. Un po’ mi piace e un po’ va così e non ho tanta scelta. Capita anche a voi?