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Sentenze granata

di Gian Paolo Ormezzano

Io faccio sogni Toro

Torino, inverno 2019

Quando i quotidiani avevano la terza pagina diciamo pure letteraria, Dino Buzzati scrisse sul Corriere della Sera un meraviglioso elzeviro dei suoi. Provo a ricordare e a riassumere, mi aiuta il fatto che ho memoria fortissima, adoro lo scrittore Buzzati e ho persino conosciuto e frequentato – Giochi invernali di Innsbruck 1964 – il Buzzati giornalista. È la storia di una caccia al tesoro nel grande parco della grande villa dove abitava il bambino ricco, con premi per i piccoli ospiti alla festa del suo compleanno. La donna povera delle pulizie era lì con la sua bambina macilenta e malvestita, vietata alla sua piccola la caccia al tesoro. La bambina piangeva e chiedeva, la sfrontata, una bambola come quella appena scovata e vinta da una bambina ricca, sana, vestita assai bene.

Io faccio sogni Toro, diversi eccome dai sogni d’oro, anche se più o meno il sound delle parole pare lo stesso. Io sogno per il mio Toro un derby, uno solo, in cui non ci sia da parte nostra niente, ma niente da recriminare. Tipo un rigore inesistente appioppatoci, un rigore sacrosanto non concessoci (ogni riferimento all’ultimo derby è assolutissimissimamente voluto)

La donna delle pulizie disturbava, con quella sua creatura lacrimosa e implorante, la sgridarono e lei allora urlò: «Che siate tutti maledetti!». Immediatamente gli astanti, donne e vecchi e bambini, furono bloccati da una misteriosa paralisi. Da fuori del giardino qualcuno aveva seguito la scena: allertò la polizia, la prima auto con lampeggianti e sirena saltò in aria quando arrivò sul posto. Altre auto della polizia intervennero, idem. L’esercito intervenne, esplosero carri armati e anche aerei in volo e persino, laggiù al porto, le navi da guerra che avevano puntato i cannoni. Gli eserciti di tutto il mondo si coalizzarono invano contro la donna che continuava a maledire. La lotta era impari. Dopo giorni di stragi i potenti del mondo si riunirono e offrirono alla donna la loro resa, in cambio di tutto quello che lei voleva. E lei chiese per la sua bambina la bambola, sì, proprio quella là, neanche la più bella. Mi sono mangiato un bel po’ dello spazio concessomi, spero ne valga la pena. Sintetizzo il tema, che è grosso modo questo: sogno cose per il Toro, mi sveglio e… … E io, come quella donna, emetto una maledizione, ma verso il destino che ha colpito la mia squadra con quella che forse è la massima tragedia del mondo dello sport: tanti quelli di Superga e tutti forti e bravi. Come suol dirsi, quantità e qualità. Io mi sveglio e mica chiedo Superga più bassa e l’aereo che ci passa sopra senza problemi, mica chiedo per il mio Toro vittorie sonanti in giro per il mondo, e approdo continuo al Toro dei migliori giocatori. E flusso di capitali sceiccali.

Oh no. Io faccio sogni Toro, diversi eccome dai sogni d’oro, anche se più o meno il sound delle parole pare lo stesso. Io sogno per il mio Toro un derby, uno solo, in cui non ci sia da parte nostra niente, ma niente da recriminare. Tipo un rigore inesistente appioppatoci, un rigore sacrosanto non concessoci (ogni riferimento all’ultimo derby è assolutissimissimamente voluto). Nessun gol irregolare da patire, nessun gol regolare annullatoci. Nessuna nostra espulsione fasulla, nessuna giusta espulsione risparmiata a ‘loro’. Vorrei quella bambola, ecco, e niente altro. Mica voglio altri trofei, dopo quelli che il destino ci ha lasciato vincere e, soprattutto, dopo quelli che il destino ci ha tolto. E nella parola ‘destino’ inglobo anche il fatto che si debba stare nella stessa città della Juventus, cioè della squadra dei ricchi fra i ricchi, del potere che le permette di autoassegnarsi scudetti non suoi per la semplice ragione che sono stati assegnati ad altri egualmente immeritevoli. Per non dover avvertire fra i miei amici juventini – ne ho, e tanti, più che tra i granata – un senso di paternalistica compiacenza quando portano attenzione a ciò che snocciolo nelle mie litanie sull’ingiustizia. E penso proprio che un sogno così non finisca mai più.