News

Sentenze bianconere

di Darwin Pastorin

Juventus, sogni e desideri

Torino, inverno 2019

Da ragazzino immaginavo, spesso, di proiettarmi nel futuro. Di fare il giornalista a Tuttosport, ad esempio: al fianco di Vladimiro Caminiti, il poeta del calcio. Oppure di cavalcare con Tex Willer e Kit Carson o ritrovarmi con Tom Sawyer e Huck Finn a tirare pietre nel Mississippi. Soprattutto, giocavo nella Juventus la partita decisiva per alzare al cielo la Coppa dei Campioni: contro il Real Madrid. Noi, noi bianconeri, conquistavamo il trofeo più ambito del continente, che oggi si chiama Champions League, ed è la nostra ‘ossessione’, realizzando il gol del trionfo al 94’, con un’azione che andava più o meno così: Furino passava il pallone sulla fascia destra al tedesco Haller, finta e controfinta e cross a centro area, di testa schiacciavo sui piedi di Pietro Anastasi, mio compagno di reparto e anche mio idolo, che in semigirata realizzava per il nostro tripudio proprio sotto all’incrocio.

Alla fine, però, al futuro chiedo sempre la solita cosa: la Champions League. Siamo stanchi, noi di Madama, di perdere in finale. Di accarezzare il sogno e poi svegliarci con l’amaro in bocca. Ma qui parliamo di desideri

Abbracci, festa e poi le parole di Pietruzzu ai microfoni della RAI: «È davvero una fortuna avere con me all’attacco un talento come il giovanissimo italo-brasiliano Darwin». E Caminiti mi dava un otto in pagella. Poi, mi svegliavo da quel sogno a occhi aperti ed era tempo di fare i compiti o di disputare l’ennesima sfida a Subbuteo con mio fratello Fabrizio. Ah, i ricordi della prima giovinezza! Qualsiasi sogno era possibile. Passeggiare sulla Luna con Neil Armstrong o andare a mangiare il gelato con l’attrice vista in un film al cinema. Certo, come tutti gli appassionati di una squadra di football, cerco, ancora oggi, chiarimenti dalla sfera di cristallo, qualche illuminazione, la possibilità di mettere insieme, per dire, Cristiano Ronaldo e Messi, con Neymar in panchina. Alla fine, però, al futuro chiedo sempre la solita cosa: la Champions League. Siamo stanchi, noi di Madama, di perdere in finale. Di accarezzare il sogno e poi svegliarci con l’amaro in bocca. Ma qui parliamo di desideri. Il mio, legato al calcio, è quello di vedere di fronte, in una finalissima di Coppa del Mondo per club, le due società della mia vita: il Palmeiras di San Paolo e la Juventus di Torino.

Ho trascorso la mia infanzia brasiliana con la vecchia e cara Palestra Itália nel cuore. Il centravanti era un tipo dal gol facile e dal sorriso a girasole, che tutti chiamavano ‘Mazola’, con una zeta sola, perché assomigliava a capitan Valentino: José Altafini. Dalla Palestra al Palmeiras la nostra è sempre stata una storia di gloria. E lo stesso discorso vale per la Juve: il mio tifo risale all’estate del 1961, al ritorno dei miei genitori in Italia, non più a Verona ma nella città della FIAT. Mi conquistò il nome, che mi dava un senso di eterno, e quella casacca bianca e nera. Nel ’67 ecco il mio primo scudetto, il tredicesimo per la Vecchia Signora. Anzolin, Gori, Leoncini, Bercellino, Castano, Salvadore, Favalli, Del Sol, De Paoli, Cinesinho e Menichelli: la formazione titolare imparata a memoria come ‘L’infinito’ di Giacomo Leopardi o ‘L’aquilone’ di Giovanni Pascoli. Ma torniamo al futuro, a questa ipotesi stile romanzo Urania: Juve contro Palmeiras, match ricco di gol, di emozioni, pali e traverse, rigori realizzati e sbagliati e alla fine ecco il successo… Ma qui mi fermo. Una scelta troppo difficile… Meglio restare al presente. Ai fatti e non alle utopie. Quindi: forza Juve per la Champions e forza Palmeiras per la Libertadores. E chissà che…