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Libertino Faussone, l'artista del traliccio

A spasso per Torino

di Sandro Cenni & Lando Moglia

Estate 2018

«Nel ‘51 la mia famiglia, arrivata da un paesino della Romagna, si è stabilita in via Carlo Giordana angolo corso Re Umberto. Per qualche giorno ho patito il forte odore dello scarico delle auto; pensi un po’: ne passava una ogni morte di Papa. Torino era bella coi suoi monumenti e palazzi. Uno di questi, dal colore rossastro, era di fronte a casa mia in corso Re Umberto 75. Ho poi saputo che era una casa costruita in stile Liberty, quello stile nato nei primi anni del Novecento. Non credo alla maledizione delle case Liberty, ma questa è stata l’ultima dimora dove è vissuto e morto in circostanze tragiche Primo Levi, lo scrittore portavoce delle storie di Auschwitz». Questo racconta il bibliotecario porgendomi il libro richiesto.

È ne ‘La chiave a stella’ che Primo Levi descrive il mondo dei montatori meccanici e dà vita al personaggio di Libertino Faussone, piemontese nato forse nelle valli di Lanzo, dove ritorna a pescare le trote nel Tesso tra una lunga trasferta e l’altra. Faussone è un amante «del lavoro ben fatto». La mansione di montatore meccanico era, ai tempi di Levi, il vertice della vita professionale dell’operaio (7° livello). I montatori assemblavano il manufatto presso i vari committenti, ultimo anello di congiunzione tra l’azienda costruttrice e i clienti sparsi per il mondo.

Erano opere imponenti di grande carpenteria: carri-ponte, gru da porto o impianti petroliferi. Levi entrò in contatto con questi professionisti dirigendo lo stabilimento di vernici alla Siva di Settimo Torinese. Come chimico, aveva fatto installare degli impianti per la fabbricazione delle tinte. In più, tramite i montatori, pervenne a quell’ibrido particolare tra piemontese e italiano che seppe poi trascrivere così bene nel suo romanzo.

Faussone è un tipo che accetta le sfide; che si fa sempre avanti quando si tratta di commesse difficili. La professione del montatore permette, come si suol dire, di unire l’utile al dilettevole. In fondo, i montatori sono dei solitari, poco adatti alla vita sociale; lui è scapolo, e i rapporti occasionali con le donne sono improntati all’essenziale, senza sentimentalismi inutili. Finito il cantiere, finisce la storia. Sempre che nasca. «Delle ragazze non si può star senza – diceva – e vedrà che un giorno o l’altro resto panato».

Primo Levi, Libertino Faussone e Benedetto Brin: gli amanti 'del lavoro ben fatto'

 

Una volta chiuso il cantiere, Faussone torna ospite presso l’alloggio delle due zie in via Lagrange, nel cui salotto, in stile gozzaniano, poltrone e sofà sono ricoperte da lenzuola bianche e nessuno viene mai fatto accomodare. Così, quando Faussone si stufa di stare seduto in cucina, corre in ditta a cercar di scoprire se sono usciti nuovi lavori in luoghi mai visitati in giro per il mondo, da farsi assegnare. Restio ai suggerimenti delle zie di trovare una brava ragazza per mettere su famiglia – e addirittura al tentativo di combinargli un incontro – Faussone preferisce godersi i piaceri del mondo. Tuttavia, solo dopo aver controllato con la sua ‘chiave a stella’ che il traliccio sia ‘in bolla’.

Traliccio a tubi in acciaio

«Vuol mettere? Io del mio destino non me ne sono mai lamentato, se mi lamentassi sarei una bestia, perché me lo sono scelto da me. Volevo vedere dei paesi, lavorare con gusto, non vergognarmi dei soldi che guadagno? E quello che ho voluto l’ho avuto. C’erano due maniere: aspettare di venire ricco e poi fare il turista, oppure fare il montatore. Io ho fatto il montatore», dice Faussone.

‘I 55 cm di Brin’. Non fraintendiamo: non stiamo parlando di misure anatomiche, bensì dello spessore della lamiera che servì a corazzare le nuove navi della Regia Marina Italiana: le corazzate Duilio e Dandolo progettate da Benedetto Brin.

Come Libertino Faussone, anche Benedetto Brin era figlio di una Torino laboriosa. Apparteneva a quella schiera di tecnici e di ingegneri meccanici che tanta gloria diedero al Piemonte alla fine dell’Ottocento. Nella zona delle vecchie fabbriche tra via Orvieto e la stazione Dora operava la Savigliano, negli anni Trenta all’avanguardia per quel che riguarda le opere elettromeccaniche. Da queste parti, un corso è dedicato a Benedetto Brin.

Acciaieria di Terni fondata da Brin

È passato un secolo da quando le Officine Savigliano, orgoglio del Piemonte che lavora, realizzarono la Tettoia dei Contadini e l’Antica Tettoia dell’Orologio a Porta Palazzo, con 700 tonnellate di ghisa, tralicci, capriate e colonne. Ma il primato dell’ingegneria piemontese si muove oltre le antiche cinte daziarie: chi parte o arriva alla stazione Centrale di Milano può ammirare la grande copertura con travi e capriate che porta le insegne delle Officine Savigliano, un primato nell’eterna competizione tra le due città.

Le corazzate Duilio e Dandolo nacquero dalla disfatta della giovane Marina italiana nella battaglia di Lissa contro la Marina asburgica. Era il 1866: si combatteva la Terza guerra d’indipendenza per l’annessione del Veneto e la chiusura del confine ‘naturale’ italiano.

Corazzata Enrico Dandolo

 In questa battaglia, oltre a patire su terra, a Custoza, le forze nostrane furono sbaragliate in mare, a Lissa appunto, dove gli errori dell’ammiraglio Persano permisero al nemico di speronare due navi e perdere 640 uomini. Memorabile la chiosa dell’ammiraglio austriaco von Tegetthoff: «Navi di legno, comandate da uomini con la testa di ferro, hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno». A quei tempi le corazzate avevano sì lo scafo ricoperto da lamiere d’acciaio, ma separate da strati di legno.

 A Benedetto Brin venne dato l’incarico di risollevare la Regia Marina. Esperto per i suoi studi nella costruzione di navi, lanciò il suo progetto innovativo: corazzare lo scafo con lamiera di 55 cm di spessore, non perforabili dai cannoni di allora. Da qui ‘i 55 cm di Brin’. La costruzione della Duilio e della Dandolo allarmò a tal punto la Royal Navy di Sua Maestà britannica che gli inglesi addussero, tra serio e faceto, all’impossibilità delle due navi di stare a galla con tutto quel peso, scommettendo che sarebbero affondate durante il varo.

 In barba agli inglesi, le due navi uscirono felicemente dai bacini di carenaggio. E intanto che le sue creature solcavano i mari indisturbate dalle altrui belligeranze e invidie, Benedetto Brin, più volte ministro della Marina, proseguì la grande riorganizzazione dei cantieri navali e guidò l’avanguardia della progettazione di bastimenti.