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Torino, Inverno 2023
Il calcio produce bomber, miliardi, calciatori che sono del cielo stelle se non anche rombi di tuono, ancora miliardi (anche di debiti), ancora miliardari (atleti ma anche procuratori degli atleti), giocatori detti figli di Dio (dal nostro Renzo De Vecchi, azzurro a 16 anni, a Maradona), miliardi ancora, ancora miliardari, calciatori strumenti furbastri di regimi, calciatori idioti ma sempre più miliardari (orgia promessa per il 2034, la Coppa del Mondo in Arabia Saudita). Poeti poco o niente, chissà mai perché. Il solo riconosciuto, celebrato, omaggiato in casa mia e fuori è Claudio Sala, uno del Torino del primo e unico scudetto granata (1976) dopo la serie di cinque interrotta dalla tragedia di Superga, il 4 maggio 1949. Uno che non faceva quasi mai gol, e infatti i poeti mica devono scrivere troppo, sennò diventano tutti dei Dante, sai che rischio. Diciamo, dicendo di Sala, del calcio italiano, ma anche se allunghiamo il collo e guardiamo al mondo i calciatori poeti latitano, scarseggiano, mancano. Ci pensiamo e strapensiamo, e viene in mente il solo Ezio Vendrame, friulano di Casarsa della Delizia paese amatissimo da Pier Paolo Pasolini (dice qualcosa?), attaccante di Udinese, Vicenza, Napoli e Padova.
Poeti poco o niente, chissà mai perché. Il solo riconosciuto, celebrato, omaggiato in casa mia e fuori è Claudio Sala
Classe 1947, fine per tumore nel 2020, dopo avere prodotto più versi che gol. Vendrame era un grande della poesia e del pallone, lo ha avvicinato Gino Stacchini ex juventino con versi in italo-romagnolo, comunque passabile alla storia anche e soprattutto perché pare proprio che sia stato lui quello che, giocando (bene e perciò improvvidamente) nella Juventus, eseguì uno scatto da ala quale teoricamente era, gli si gonfiò sulle spalle la maglia bianconera, gobbo apparve a noi tifosi del Toro (era un derby, sì), gobba da allora chiamammo la Juventus. Poca roba, pochi poeti calcianti. E pochi poeti scriventi appiccicati al calcio: Umberto Saba, si capisce, con i problemi dei suoi rosso alabardati (Triestina), la sua impossibilità (altri tempi) di ammettere per qualche atleta anche amore. E poi l’immane Ungaretti per tutto lo sport, quando scrisse della tristezza “di un circo vuoto dopo lo spettacolo”, applicabile alla fine di una partita come di una passione. Claudio Sala poeta non è stato prolifico di gol, e neanche memorabile per qualche verso e va bene così. Fu poeta per il fare, che era giocare un calcio personalizzato, artistico (dribbling lento, soste repenti, ripartenze, anche un sano sgomitare), il senso di saper prendere la partita così e non cosà, e ultimamente il darsi alla produzione di vini importanti, e il vino buono è anche poesia. Io però consegno a chi mi ha letto sin qui l’idea del poeta particolare che fu uno che dipingeva e giocava al calcio. Ci conoscemmo senza riconoscerci, poi diventammo amici e mi toccò di scrivere il pezzo sulla sua morte violenta e precoce, come quelli di Superga, quelli del Toro come lui, che si chiamava Gigi Meroni.