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#iosonotorino

di Tommaso Cenni

Cartoline da Torino

Torino, 8 maggio 2020

Ho ritoccato un pallone da calcio dopo tanto, sicuramente troppo, tempo. Ho calcolato il rimbalzo del pallone sull’erba, con risultati più o meno accettabili, dopo tanto, troppo tempo. L’ho fatto, mi ricordo come si fa evidentemente. Sono passati mesi, non anni ma son sembrati comunque molti. Eppure ci ricordiamo come si fa. Ci ricordiamo come sorridere a un amico che non vediamo da tanto, e come riconoscerlo anche sotto una mascherina. Ricordavo il profumo della primavera e ora che l’ho risentito, con il naso un po’ nascosto dal tessuto, capisco perché l’abbia sempre amato. E nel farlo un po’ mi sento sciocco, d’altronde son tutte cose che conosco benissimo praticamente da quando sono nato.

Ricordavo il profumo della primavera e ora che l'ho risentito, con il naso un po' nascosto dal tessuto, capisco perché l'abbia sempre amato

Dov’è la differenza? La differenza sta nel confine, sottile ma mica tanto, tra conoscere e riconoscere le sfumature di vita che ci hanno colorato i giorni fino ad adesso. Come un amico che parte per un lungo viaggio e che quando torna pare non ci sia mai stato e insieme che non se ne sia mai andato. È dentro di noi. Cosa? Semplicemente il mondo che c’è fuori. Quello in cui le passeggiate sul Po sono passeggiate nella nostra piccola Parigi, e le sere passate tra il niente e una birra formano pagine di un libro condiviso che riponiamo in un cassetto e tiriamo fuori quando serve. Lui ci aspetta, fedele, paziente, opportunista nel tenderci una mano.

E con questi propositi un giro in macchina dopo Avigliana diventa il momento per esplorare noi stessi, una partita di pallone l’occasione per tornare bambini; una parola, detta dolce, da una ragazza in mezzo alla notte, la consapevolezza, magari fugace, di avere un posto nel mondo. Anche questa attesa acquisisce un qualche significato se finalizzata a riconoscere il mondo che ci circonda. Con occhi diversi, forse più nostri di quanto ci siamo mai resi realmente conto. Ecco, se riuscissimo alla fine di questa complessa vicenda a riconoscere ognuno il nostro profumo della primavera, potremo dire che in fondo niente, neanche questo dannato virus, può impedire ai nostri occhi di crescere e osservare un mondo ogni volta un po’ migliore.

Magari un mondo scandito più da belle impressioni che polemiche, un mondo scritto a matita; una cartolina da Torino verso l’ignoto, che non ci stanchiamo mai di aspettare.