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Sentenze granata

di Gian Paolo Ormezzano

Quell’estate granata

Torino, estate 2019

Ho provato a rispettare rigorosamente il tema offertomi, ben limitato – un’estate granata speciale, quell’estate là – a restare serissimamente sull’argomento ben chiarito, ho evocato e confrontato ricordi pareri sensazioni episodi tragedie commedie pinzillacchere. Mi è venuto da piangere, mi è scappato da ridere. Ho conosciuto l’imbarazzo di essere troppo ricco, il quasi panico di fronte a una scelta obbligata comunque castrante. Sceicco in un harem di racchie, Paperone a Fort Knox suo, ma di Lego. Un nipote dei miei otto mi ha proposto di liofilizzare tutto in un nome, anzi soltanto un cognome: Marinelli. Marinelli chi? «Ma quel calciatore, nonno, che una mezza estate arrivò dall’Argentina e fece sapere che giocava solo di sinistro»; oh, un bel mancino, si pensò sognando Sivori in granata, invece sinistro era soprattutto il suo limite di usare solo il piede sinistro, e purtroppo non trattavasi di un gioco di parole. Mai visto un sinistro così soltanto sinistro, nel calcio.

Dogmaticamente so che la mia bella estate è questa, per una cosa molto mia. Anna, il giorno in cui ha compiuto sei anni, mi ha partecipato la sua felicità massima, da ultima degli otto miei nipoti tutti portati a vogare sulla stessa barca granata: «Che bello, finalmente anch’io pago il biglietto allo stadio: quando mi porti?».

E ovviamente finito al Toro. Io gli ho opposto l’estate 2005, popolata di uomini e cose, quella del fallimento di Cimminelli juventinoide, dell’assalto al Toro (diventato Società Civile Campo Torino) da parte di bande assortite, dei lodisti che sempre siano lodati e di Petrucci che da presidente del CONI aveva inventato il lodo per cui il Torino riuscì a rimanere almeno in B, torneo già praticato e comunque serenamente praticabile in attesa che diventasse il più bel girone dantesco del calcio quando, anno 2006, rinserrò la Juve. Ma davvero troppo facile dire quell’estate: scioglimento dei ghiacci e subito ebollizione delle acque. Fra i pretendenti al Toro, anche il tenutario di un’attività con benevole carine infermiere presunte e rumene vere. Chiamparino sindaco tifoso dovette lottare per finalmente esporre dal balcone del Municipio il suo uomo, un uomo serio a nome Urbano Cairo, e le acque di un nostro mare ormai quasi morto si aprirono per farlo ‘enfin’ passare.

Ecco, in ormai tanti anni ‘giusti’, Cairo ci ha disabituati alle estati folli, ha rifatto del Torino una cosa seria anche per i parametri economici del nuovo calcio, e pazienza se limitando la vis drammatica del club con la sua storia, noi che abbiamo avuto estati alla «ma pensa un po’ se Martín Vázquez viene proprio al Toro», ed estati da «vedrai che sarà Stringara l’allenatore». Noi che un’estate abbiamo trasferito il Toro, come idea da difendere da possibilità assortite di contaminazioni, sul campanile di Vigone, mentre Bellino e i suoi angeli granata liberavano da stoppie e ratti il Filadelfia. Noi che l’anno scorso abbiamo visto la città solcata dai venti e passa camion che portavano le cosine di famiglia nella villa semicollinare di Cristiano Ronaldo. Personalmente, ricordo un’estate in cui un presidente del Torino mi invitò a ridere del Milan che sognava di portargli via Lentini, era lo stesso presidente che mi aveva dato un passaggio da Caselle a Roma sul suo aereo privato, potevo non credergli?

Io però adesso, proprio procedendo in questo scrivere, dogmaticamente so che la mia bella estate (titolo di un libro sacro di Cesare Pavese, je me souviens eccome) è questa, per una cosa molto mia. Dunque, sotto lo sguardo attento e caldo del fratello Matteo, nove anni e tutto Toro anima e corpo e vesti, con la sola concessione a se stesso della maglia di Messi indossata sulle ramblas di Barcellona, sotto il suo sguardo Anna, il giorno (l’altro giorno, davvero, 11 giugno) in cui ha compiuto sei anni, mi ha partecipato la sua felicità massima, da ultima degli otto miei nipoti tutti portati a vogare sulla stessa barca granata, un otto con timoniere (io): «Che bello, finalmente anch’io, che ho compiuto i sei anni, pago il biglietto allo stadio per vedere il Toro: quando mi porti?».