Home > People > Editoriali > Sentenze granata > Basta spostarsi e torna Superga
Torino, Inverno 2022
Penso che sia opportuno un certo tipo di dialogo con chi, benignamente se non anche pietosamente (grazie sempre), mi legge. Dunque, questa è una rubrica dedicata come dice il sopratitolo al tifo granata, alla passione per il Torino che per me è tantissimo e pazienza se talora anche una squadra di calcio, cioè una partecipante ai riti di uno sport povero e spesso cretino e di un gioco ricco e spesso affascinante. Quando non ancora diciottenne cominciai – era il paleolitico 1953 – a scrivere per un giornale quotidiano, da abusivo tuttofare non pagato, le speranze di carriera in chiave peraltro tremendamente onirica erano di due tipi: 1) diventare un giornalista della eccelsa tribù dell’andare/vedere/raccontare, specialmente al seguito dei Giri ciclistici d’Italia e Francia, dietro ai Bartali ed ai Coppi e dentro i migliori ristoranti sulle strade, a quei tempi un insieme meglio che un’Olimpiade o un Mondiale di calcio; 2) diventare titolare di una rubrica: massimo esempio quella di Fortebraccio su “L’Unità”, poche righe in prima pagina, umorismo forte e cattiveria spesso giusta, nonché pseudonimo guerriero ad accrescere il fascino, seguito da quello, lunghetto e in pagine interne, di Sergio Saviane impegnato da cattivo onesto umorista a scrivere di una cosa nuova chiamata televisione. Ora, dopo tanti Giri ciclistici (29 d’Italia, 15 di Francia), e Mondiali di calcio (7) e forse troppe Olimpiadi (25, ad un certo punto sin greve primato del mondo giornalistico a cinque cerchi), eccomi qui con la mia rubrica, dedicata nello specifico a Superga intesa proprio come quella alta collina che laggiù supporta quella grande chiesa: le vedo dal mio terrazzino. Le vedo? Be’, prima le vedevo bene, uniche nel cielo dovunque mi trovassi sul terrazzino. Ma adesso è nato e cresciuto il grattacielo. Con se si vuole un forte simbolismo, perché per vedere Superga devo spostarmi sul terrazzino, così come per vedere il mio Torino, il mio Toro d’antan, devo spostarmi eccome da quello del campionato.
Magica come nessun’altra entità dell’immenso altro sport che ho giornalisticamente vissuto a fondo, mitica come solo le storie che sanno di sacrificio e sanguinano sempre
Il mio Torino, ripeto, quello del ragazzino che vide tutte le partite al Filadelfia e mai lo vide perdere. Semplice, in fondo: è sufficiente spostarmi spostando intanto il grattacielo dalla mia vista. In modo che Superga torni ad essere primaria nel panorama. Con questo, però, non è che in altri modi e per altre ragioni io non veda l’altro Torino, quello immanente, quello di questo e troppi altri campionati dimessi, quello che mi ha costretto a seguire amorevolmente la Serie B e ad interessarmi fervidamente a una cosa chiamata Europa League. Un Torino statisticamente massacrato dalla Juventus, un Torino che non mi dà uno scudetto dal 1976, quando peraltro erano già 27anni che aspettavo. Ecco, la differenza, se vogliamo la novità, che solo ora accerto in pieno e partecipo, anche se ormai pure il grattacielo ha un po’ di anni, è che in maniera sempre più dura mi convivono dentro, mi circondano fuori, mi piovono addosso due squadre troppo diverse. Due squadre? Due diverse entità, direi. Una persino magica, poi, ed escludo che lo sia, come mi accade per altre belle cose, perché legata alla magia di cui è intrisa comunque la gioventù. Magica come nessun’altra entità dell’immenso altro sport che ho giornalisticamente vissuto a fondo, mitica come solo le storie che sanno di sacrificio e sanguinano sempre. E se qualcuno pensa che in fondo io faccio, scrivendo queste righe, una furbata, nel senso che pur sempre riesco a confezionare la mia rubrica, faccia pure. Io continuo a sanguinare.