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Torino, 5 maggio 2020
Pensando alla figura di Germano Celant, fondatore di quell’Arte Povera che è il movimento del dopoguerra italiano più apprezzato dai collezionisti internazionali assieme allo Spazialismo di Lucio Fontana, ricordiamo come negli anni ’60 Torino e il Piemonte esprimessero anche attraverso il “Poverismo” eccellenti maestri che hanno scritto la storia dell’arte. Michelangelo Pistoletto, Alighiero Boetti, Mario Merz, Gilberto Zorio, Ugo Nespolo, Piero Gilardi, Giuseppe Penone.
Sessant’anni fa Torino era davvero un crocevia artistico, come peraltro tutta l’Italia del boom economico
Sessant’anni fa Torino era davvero un crocevia artistico, come peraltro tutta l’Italia del boom economico. La città di grandi galleristi come Giuseppe Bertasso, de La Bussola, o Gian Enzo Sperone; ma anche la Torino che Michel Tapiè aveva scelto come propria dimora. Quello stesso critico d’arte che aveva portato il gruppo giapponese Gutai (uno dei più ricercati dai collezionisti del mondo) all’appena inaugurata Gam e la mostra “Arte Nuova”(1959) al Circolo degli Artisti.
Si stanno facendo da tempo encomiabili sforzi (da Artissima ai vari musei civici, statali e privati) per riportare Torino nella posizione preminente che le spetterebbe di centro dell’arte moderna e contemporanea, quantomeno in Italia. Operazioni come quella del Castello di Rivoli con la Collezione Cerruti sono sicuramente un modello da seguire. Oggi la domanda che ci poniamo riguarda il perché momenti artistici fecondi come quelli di sessant’anni fa non si ripresentino più. La speranza è quella di ritrovare presto i grandi coordinatori delle avanguardie artistiche come il già citato Germano Celant, o come Pierre Restany, fondatore nel 1960 del Nouveau Réalisme in Francia; o come quel Charles Saatchi protagonista della “detonazione” artistica rappresentata trent’anni fa dalla Young British Art.