Home > People > La parola agli Ordini > Commercialisti > I commercialisti pensano allo sciopero
Il supporto che la nostra professione assicura e ha assicurato a imprese e contribuenti, durante l'emergenza COVID, non ha convinto i più sul ruolo sociale dei commercialisti
Torino, autunno 2020
Premetto che non sono uno dei sostenitori dello sciopero di categoria che le associazioni sindacali dei commercialisti avevano proclamato per lo scorso 15-22 settembre, successivamente revocato in cambio di un pugno di promesse, che non saranno probabilmente mantenute. Un simile gesto rischia di non avere effetti diretti sull’erario ma, potenzialmente, sottopone i clienti, il rapporto con i quali rappresenta il nostro vero valore, a rischi di sanzioni o, peggio, di costi di difesa che non meritano e che non meritiamo di dover responsabilmente rifondere. Ma se siamo arrivati a dover pensare a uno sciopero per chiedere all’amministrazione finanziaria, e non solo, di essere riconosciuti e di veder riconosciuto il nostro ruolo, anche sociale, come avviene usualmente per altre categorie professionali, la misura è probabilmente colma.
Senza volersi piangere addosso in maniera sterile, il commercialista è colui che non si è mai fermato nel triste periodo della pandemia, ha ricevuto le domande più impossibili e agli orari più improbabili, ha interpretato normative contraddittorie, torrenziali e d’urgenza, ha letto decreti e circolari spesso incomprensibili, ha affrontato il lockdown in smartworking, in trincea con i suoi collaboratori, è stato vicino ai propri clienti garantendo il fondamentale e imprescindibile supporto all’economia del Paese, ha celato l’incuria italica soverchiata da una burocrazia asfissiante, sobbarcandosi un improbo lavoro di termini e scadenze.
Ma non solo: accompagna da sempre la crescita e l’evoluzione degli imprenditori, rimanendo al loro fianco nei momenti difficili, soprattutto in quelli legati a scelte importanti, quando spesso tutti gli altri li lasciano soli, raccoglie confidenze, ansie, affanni e turbamenti, svolgendo compiti non strettamente professionali, studia la notte per rispondere la mattina a quella che sembra una banale domanda, decifra durante le vacanze natalizie il solito super decreto di fine anno per essere prontissimo il 1° di gennaio, trascura sovente coniuge, figli, familiari, svaghi e divertimenti, per portare a termine il compito affidatogli o far fronte a una scadenza incombente, porta alla riflessione, ribatte e assiste con riservatezza, equilibrio, professionalità, caricandosi di responsabilità che spesso non gli appartengono, ricorda, incoraggia, consiglia, propone, fa continui corsi di aggiornamento obbligatori, ha un’assicurazione per i rischi professionali, rispetta un ferreo codice deontologico e, se sbaglia, è punito oltre che dalla legge anche dall’Ordine a cui appartiene.
Negli ultimi anni ha poi permesso alla pubblica amministrazione di mettere in atto una riforma epocale senza costi per lo Stato, con gli invii telematici degli atti, dei documenti, delle dichiarazioni dei redditi, del pagamento delle imposte, della fattura elettronica, trovandosi spesso in bilico tra lo Stato, che scarica su di lui e sui suoi collaboratori lavoro e responsabilità, e il contribuente che lo confonde con il suo censore, senza alcuna difesa rispetto agli abusivi della professione, nonostante abbia sempre dimostrato di far parte di una categoria affidabile, che non vive di proteste. E allora non serve arrivare a uno sciopero perché sia riconosciuto il nostro ruolo. È però necessario che la funzione di ‘servizio essenziale’ che la norma ci assegna sia effettiva, pensando a quante volte il commercialista è al fianco di ciascuno e di quanto è di aiuto allo Stato perché tutto quanto, alla fine, funzioni.
Luca Asvisio
Nato a Torino nel 1965 e iscritto all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Torino dal 1991, ne è stato segretario dal 1997 al 2012 (con le presidenze Locatelli e Milanese), mentre dal 2017 ne è il presidente. Svolge ininterrottamente l’attività sin dalla pratica nello studio fondato dal dottor Alberto Dondona, di cui nel tempo è divenuto associato e di cui ha mantenuto la denominazione anche dopo la morte del suo maestro.