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Torino, Primavera 2023
Il calcio è diventato, per me, da tempo, un esercizio della memoria: un viaggio, ora felice e ora malinconico, nel passato, nel riverbero di momenti, persone, anime salve e anime perse, di compagni di strada che se ne sono andati. E la Juventus appartiene, sempre di più, alla mia giovinezza: e bastano i nomi di Anzolin e Leoncini, di Gori e di Cinesinho, che giocò anche nel mio Palmeiras, la squadra della mia infanzia brasiliana, a farmi battere forte il cuore. E che dire del libero Ernesto “Tino” Castano? Abitava, siamo nel 1967, l’anno del tredicesimo scudetto di Madama, e della tragica fine di Gigi Meroni, la farfalla granata, uno dei fuoriclasse più fantasiosi e lucenti del nostro football, in piazza Montanari, quartiere Santa Rita. A due passi da casa mia e dell’amico fraterno Giancarlo, io al quarto piano, lui al quinto. A quell’epoca, i giocatori non vivevano misteriosi e blindati: e sul campanello, senza problemi, mettevano il loro cognome. Così, un pomeriggio, suoniamo dove troviamo scritto “Castano”. «Chi siete?». Una voce di donna. «Signora, siamo due giovani tifosi. Ci piacerebbe chiedere l’autografo a Tino…». «Venite pure!». Primo piano (se ricordo bene). Ad aprirci la porta, la mamma del nostro beniamino, un libero dal talento lucente. E Castano è lì, elegantissimo, in giacca e cravatta: «Benvenuti, come vi chiamate?». Ci chiede se giochiamo al calcio, come andiamo a scuola e del perché siamo juventini. La madre ci offre dell’aranciata frizzante. Tino ci firma le foto, i diari, i taccuini. È gentile, garbato, sorridente. Ci ha lasciato quest’anno il 5 gennaio.
«Chi siete?». Una voce di donna. «Signora, siamo due giovani tifosi. Ci piacerebbe chiedere l’autografo a Tino...». «Venite pure!»
Il giorno dopo, il 6, un’altra tristissima, assurda perdita: quella di Gianluca Vialli, ancora giovane, una persona ironica, intelligente e un fuoriclasse autentico, capace di mille e mille meraviglie. Quante trasferte con lui, nelle mie stagioni da inviato speciale a Tuttosport! E ancora oggi penso e ripenso a Pietruzzu Anastasi, idolo della mia giovinezza, poi grande amico, e a Paolo Rossi, il Pablito Mundial, un fratello che non mi ha mai fatto mancare il suo abbraccio. E rivedo il sorriso lieve di Gaetano Scirea, il leader silenzioso, il pane in tavola. Già, la mia saudade si riempie di volti cari, di imprese memorabili, quando eravamo tutti ragazzi, colmi di sogni e di utopie. E mi sovvengono scrittori e poeti che hanno avuto la Juve come punto di riferimento. Lo scrittore ceco Bohumil Hrabal disse: «Dell’Italia amo, soprattutto, Ungaretti e la Juventus». Guido Gozzano, il mio adorato poeta crepuscolare, che venne folgorato dall’ancora giovanissima Signora nel 1905, assistendo, nella sua Agliè, a una amichevole tra i bianconeri campioni d’Italia per la prima volta e l’Ivrea. E Giampiero Mughini, intellettuale juventinissimo; rispose così alla mia domanda “meglio l’urlo di Tardelli o l’Urlo di Ginsberg”: «Dentro l’Urlo di Tardelli c’è la letteratura, c’è la vita; nell’Urlo di Ginsberg c’è la letteratura ma non la vita. Tardelli è una figura letteraria totale». Vladimiro Caminiti, il mio maestro di giornalismo, ci ha lasciato pagine e pagine e pagine poetiche e romantiche su Madama. Così come Giovanni Arpino, mia stella cometa, ha saputo narrare la Juve (e il Toro, sia chiaro) con la forza e le intuizioni dello scrittore celebrato. E sempre più forte cresce in me la nostalgia…