Torino, Autunno 2024
Lo sport è ormai uno dei motori di Torino. Non, come era un tempo, un corollario alla manifattura, secondo il principio degli antichi romani per cui al popolo andava il “panem”, e i “circenses” per lo svago. Ormai a Torino lo sport è “panem”, nel senso di PIL e occasione di lavoro. Non tutti lo riconoscono e le vecchie mentalità sono una malattia dura da debellare, soprattutto in una città dove, per tanti, l’unico vero sport è il mugugno. Dobbiamo all’Avvocato Agnelli e al trio Castellani, Christillin, Ghigo, il merito dei Giochi del 2006, con gli investimenti che si sono portati dietro, trasformando e rovesciando l’immagine internazionale della città. Quella fu una vera e propria ripartenza.
Il paradosso è che proprio la giunta Appendino, che voleva istituire una commissione di indagine sugli sprechi di Torino 2006, è quella che, grazie ai lasciti dei Giochi, ha potuto portare a Torino, giustamente vantandosene, le ATP Finals. Senza l’attuale venue mai i migliori tennisti del mondo sarebbero arrivati. Non sappiamo se e per quanto tempo le Finals resteranno: se il prossimo quinquennio verrà diviso a metà con Milano dove, nel frattempo, grazie alle Olimpiadi, sarà stato realizzato un nuovo impianto di grandi dimensioni. Dipenderà dagli sponsor e dalla valutazione dei giocatori.
Non tutti lo riconoscono e le vecchie mentalità sono una malattia dura da debellare
Altra dimostrazione di quanto possano essere utili le opere populisticamente “inutili”: la bandiera olimpica tornerà a Torino grazie all’Oval, già apprezzata sede del Salone del Libro. L’impianto ospiterà una parte delle gare olimpiche del 2030. Così i giochi invernali, che erano usciti dalla porta per l’opposizione della giunta grillina torinese e la supponenza di quella di centrosinistra milanese, rientreranno dalla finestra grazie ai francesi. Che, costretti a scegliere tra il buon senso e il nazionalismo, preferiscono il primo. Del resto tra Torino e Albertville ci sono 150 chilometri di autostrada. Tra Milano e Cortina i chilo metri sono 400, in buona parte su strade di montagna.
C’è un ultimo ammonimento che la vicenda si porta dietro: è la certificazione che i Nord sono due, non uno. C’è il Nord-ovest, che guarda naturalmente alla Francia, e il vecchio lombardo-veneto, che continua a guardare, con malcelata nostalgia, all’area che parla tedesco. Naturalmente non si può parlare del peso economico dello sport senza citare il calcio. Che per ragioni storiche e di provenienza del tifo è soprattutto il business bianconero. Fatto non solo e non tanto di biglietti e abbonamenti, quanto dei centri commerciali dello stadio, dei pacchetti turistici partita+visita alla città e del museo della squadra. Ciò che il Torino non può fare, innanzitutto perché non ha uno stadio di proprietà e poi perché i tifosi non vengono da lontano. In ogni caso questa è l’unica città italiana ad avere due squadre di serie A che giocano in due stadi diversi. Potrà lo sport sostituire il ruolo trainante della manifattura? Naturalmente no. Probabilmente nessuna tra le nuove vocazioni sarà in grado da sola di compensare la perdita di peso dell’auto. Ma anche questo, forse, è il segno della trasformazione. Recentemente un piccolo episodio ha rappresentato il cambiamento. Un grande Antonov cargo è atterrato a Caselle. Negli anni Novanta aerei simili arrivavano per caricare le scocche delle auto Pininfarina da por tare negli Stati Uniti. L’Antonov, invece, è atterrato a Torino per caricare un satellite della Thales realizzato in corso Marche e destinato al poligono europeo di lancio nella Guyana francese. Potrà l’industria dello spazio sostituire l’auto? La risposta, come per lo sport, è no. Ma tutto fa.