News

Disegnare la città

di Benedetto Camerana

Una Torino verde e blu

Torino, autunno 2020

Torino è diversa da Milano. Per alcuni aspetti questa differenza è un grande pregio. Uno di questi, sicuramente cruciale per la qualità della vita, è l’eccezionalità sistematica del paesaggio torinese. Molte fonti riportano come Charles-Édouard Jeanneret- Gris, meglio conosciuto con il nome d’arte di Le Corbusier, il più importante architetto e urbanista del Novecento, avesse dichiarato che Torino era la città al mondo con la più bella posizione naturale. Questa affermazione, forse riportata in modo enfatico e forse pronunciata in un momento di stupore, testimonia però un fatto indiscutibile, e cioè che poche altre città sono situate in un paesaggio così ricco e affascinante. E non mi riferisco ‘solo’ alla spettacolare corona a 270° delle Alpi, alle cime aguzze e vicine, e alla collina, con le vedute romantiche, i suoi giardini, le ‘vigne’ a portata di promenade e le strade che salgono tra i muri di pietra, dal Monte dei Cappuccini al Faro della Vittoria sul Colle della Maddalena.

Ma ancora di più penso alle lunghe, placide acque dei suoi quattro fiumi: il Po, la Dora Riparia, la Stura di Lanzo e il Sangone. I primi tre confluenti in un unico grande specchio d’acqua su cui si affaccia la collina di Superga con la Basilica juvarriana. Un paesaggio di bellezza rara e tranquilla, da ammirare seduti o lungo una corsa domenicale. E ancora, i lunghi viali, le alberature, i parchi come il Valentino, che accompagnano le passeggiate lungo i fiumi: i filari di platani napoleonici lungo il Po, i viali di tigli (i nostri Unter den Linden) sulla Dora, i boschetti lungo la Stura e il Sangone, fino ai filari di pioppi cipressini e ai boschi di caccia della Palazzina di Stupinigi, da scoprire a cavallo o in bici. È un’eredità del passato, dalla decisione dei comandanti romani di localizzare Augusta Taurinorum all’incrocio dei due fiumi alla messa in opera delle visioni paesaggistiche del Theatrum Sabaudiae per mano degli ingegneri militari e degli architetti sabaudi, da Vitozzi a Bertola, dai Castellamonte al già citato Juvarra e via dicendo. Ma sto parlando dell’opera dei secoli passati.

Che fare oggi di questa straordinaria eredità? Io penso a un ventaglio di azioni: comprenderne il valore assoluto, conservarla, valorizzarla e moltiplicarla

Che fare oggi di questa straordinaria eredità? Io penso a un ventaglio di azioni. Primo, comprenderne il valore assoluto. Secondo, conservarla, nella continuità paesaggistica e vegetale. Terzo, valorizzarla, e questo è cruciale, con destinazioni e funzioni di giusta vocazione. Quarto, moltiplicarla, con altri luoghi e segni progettati adeguatamente: a cosa penso? Ad esempio, a nuove passerelle pedonali, leggere e trasparenti, che uniscano le sponde. Oppure a nuovi spazi urbani, luoghi d’incontro, piazze affacciate sull’acqua, con funzioni diurne e serali destinate al tempo libero o ad attività creative, che le rendano correttamente sicure e vivibili. E così via: noi architetti, urbanisti, paesaggisti possiamo proporre idee e programmi concreti e realizzabili.

Questa eredità, se ravvivata e rinnovata, può contribuire attivamente a fare di Torino una città estremamente attraente, in un mondo che sta scoprendo la rinuncia della polarizzazione forzosa verso i centri dominanti (come Milano o Londra) e la valorizzazione della qualità autentica locale. Torino lowcost/high quality. Crediamoci e lavoriamoci.