Torino, Autunno 2024
Uno dei temi politico-istituzionali più delicati è quello del rapporto fra le Fondazioni bancarie e le Istituzioni. Spesso si dice che le Fondazioni non devono essere il bancomat delle Istituzioni, volendo rimarcare il fatto che le prime non devono soggiacere alle richieste (spesso voraci) delle seconde e della politica tese a supplire a carenze finanziarie delle pubbliche amministrazioni. Ciò è certamente condivisibile, ma merita di essere approfondito nelle sue possibili declinazioni; certamente occorre evitare che le Fondazioni effettuino supinamente le erogazioni eventualmente richieste (anche in misura ingente) dalle pubbliche istituzioni.
Occorre però che le pubbliche istituzioni, al con tempo, evitino di trascurare troppo a lungo situazioni critiche presenti sul territorio, portando al verificarsi di situazioni di emergenza che costringono le Fon dazioni a intervenire per sanare il vulnus ed esercitare una supplenza progettuale e programmatica. Pensiamo al caso emblematico del Palazzo del Lavoro, lasciato da troppi anni in condizioni di abbandono, troppo spesso trincerandosi dietro l’alibi della proprietà privata del capolavoro di Nervi, mentre invece la Città deve riappropriarsi del proprio ruolo di motore propulsivo del suo recupero e rilancio.
Pensiamo al caso emblematico del Palazzo del Lavoro, lasciato da troppi anni in condizioni di abbandono
In questa situazione, da molto tempo, si levano voci imploranti che sollecitano le Fondazioni bancarie torinesi a farsi ancora una volta carico del problema, scadendo quindi nella funzione bancomat che tutti dicono debba essere evitata. Credo che questa soluzione non sia quella da per seguire, non solo per le ragioni appena dette, ma soprattutto perché essa resterebbe un’iniziativa autoreferenziale torinese, che al di là del recupero dell’immobile, lascerebbe aperti molti dubbi sui successivi costi di gestione e che non metterebbe pienamente a frutto un gioiello del nostro territorio che deve invece rappresentare un volano davvero unico verso investitori internazionali.
Non possiamo immaginare che i capitali stranieri, di cui la nostra Città ha bisogno, possano essere attratti solo dalla Nuova Biblioteca Centrale o dal rinnovato Parco del Valentino, opere certamente meritorie, ma a servizio di chi già vive a Torino. È indispensabile aprirsi a orizzonti più ampi, con la consapevolezza che la Città non può essere solo spettatrice o facilitatrice delle iniziative private, ma deve tornare ad agire in prima persona, ponendo rimedio alle inefficienze dei privati, suturando una ferita del territorio.
Dovrebbe quindi essere la Città a governare direttamente il rilancio del Palazzo, magari con le risorse della sua società Finanziaria, per poi lanciare un grande progetto di partenariato pubblico/privato/internazionale, concedendo l’immobile gratuitamente in uso a chi lo vada a restaurare e gestire. In questo modo sarebbe possibile coinvolgere stabilmente sulla nostra città importanti investitori stranieri (che sappiamo essere già molto interessati all’operazione di rilancio del Palazzo) che assicurerebbero non solo i capitali per il restauro, ma anche una gestione di standard elevato, e al contempo potrebbero portare a Torino operatori economici e culturali da tutto il mondo.
Anche questa potrebbe essere un’occasione per confermare la capacità di Torino di essere laboratorio di percorsi di rilancio innovativi, virtuosi ed efficaci.