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Home > Food > Percorsi Gourmet > Intervista a Fabio Macrì del Piano 35, lo chef nel cielo sopra Torino
DA PIANO35 SI DOMINA LA CITTÀ E SI GODE DI UN'ESPERIENZA COMPLESSIVA CHE COMPRENDE IL PLURIPREMIATO LOUNGE BAR. IL NUOVO CHEF FABIO MACRÌ ACCETTA LA SFIDA ESPLORANDO IL FUTURO DELLA TRADIZIONE. TORINO HA TROVATO UN GIOVANE PROTAGONISTA CON BASI SOLIDE E CREATIVITÀ. VI RACCONTIAMO IL SUO PROGETTO
Torino, metropoli attrattiva per i giovani talenti. Potrebbe sembrare solo un auspicio ma non è così. Perché ci sono personalità creative emergenti che scelgono lo scenario subalpino per affermarsi, per dare una svolta alla propria carriera. È successo questo con Fabio Macrì, romano, 31 anni, chef dalle autorevoli esperienze all’estero, che – da maggio 2017 – guida la cucina di Piano35, il ristorante del grattacielo di Intesa Sanpaolo che vanta una clientela internazionale in forte crescita. Un sito iconico della nuova Torino non solo per la sua forma e le sue dimensioni, ma per il contesto nel quale è stato edificato. Questo è l’Innovation Mile, la high line torinese. Ai confini di CitTurin, lungo l’asse che inizia da Porta Susa, lo sguardo passa dalla stazione alla fermata della metro, dal verticale a specchio degli edifici più alti all’orizzontale del parco all’americana che fronteggia il Palazzo di Giustizia.
Su in cima, arrampicato al trentacinquesimo dei trentotto piani concepiti da Renzo Piano, avvolto da una biosfera di essenze esotiche e mediterranee, troviamo il ristorante ‘più alto’ d’Italia. Ancora sopra, al trentasettesimo piano, arricchisce l’offerta lo spazio lounge bar, dove il protagonista è Mirko Turconi, 41 anni, creativo dalla spiccata personalità, il re dei cocktail, premiato col World Class Diageo come miglior bartender d’Italia 2017. Dalla stretta sinergia tra i due ambienti si sviluppa un progetto innovativo e ambizioso. E Fabio, mentre si racconta, rivela rapidamente i tratti distintivi del suo carattere: atteggiamento concreto e sereno, verrebbe da dire low profile, ma anche lucidità e fermezza, spirito progettuale e zero paura. Evidente consapevolezza delle responsabilità che affronta nella nuova sfida.
«Conosco bene la responsabilità che comporta il mio ruolo in un luogo come questo, e anche le aspettative che ci sono su di me. Aspettative di chi mi ha scelto e aspettative della clientela. Sono elementi che pesano ma, allo stesso tempo, costituiscono uno stimolo. Sono pronto alla sfida e devo valorizzare i mezzi che ho a disposizione».
Dove hai studiato?
«Ho frequentato il corso Professione Cuoco al Gambero Rosso e mi sono laureato all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo. Ho anche conseguito una laurea in Storia dell’Alimentazione e dell’Agricoltura».
Ho compreso la cura scientifica necessaria alla costruzione di un metodo. In cucina niente dev’essere lasciato al caso, la metodologia è fondamentale e si procede per prove e per erroriQuali sono le esperienze che hanno segnato maggiormente il tuo percorso?
«Nel 2014 ho lavorato nell’experimental kitchen a The Fat Duck, in Inghilterra, tre stelle Michelin, e nel 2015 sono stato alla Fondazione Alìcia di Ferran Adrià. Queste due esperienze all’estero restano fondamentali per comprendere l’attenzione che ci deve essere dietro al cibo. Ho anche compreso la cura scientifica necessaria alla costruzione di un metodo. In cucina niente dev’essere lasciato al caso, la metodologia è fondamentale e si procede per prove e per errori. Faccio un esempio: ogni piatto deve essere la sintesi tra originalità e sapore. E per ottenere questo occorre evitare due errori: che la portata sia buona ma non interessante, oppure che sia creativa ma non convinca nel gusto».
Qual è la tua parola d’ordine?
«Equilibrio. La propria identità si ottiene col giusto equilibrio. E questo vale il cucina come in sala. Piano35 deve essere un ristorante elegante ma non respingente, il servizio inappuntabile ma rilassato».
Il tuo piatto della memoria?
«I ricci di mare crudi. Un sapore legato alle origini salentine di mio padre».
Cosa si trova in carta a Piano35?
«La nostra è una carta stagionale, che per il quaranta per cento si ispira al Piemonte e per il restante sessanta esplora sapori di mare, il Mediterraneo e soluzioni originali. Io ritengo che le due maggiori cucine italiane siano la siciliana e quella piemontese. In queste due regioni si trovano prodotti straordinari, un fondamentale patrimonio di ricette e influenze determinanti di altre località: la Francia per il Piemonte e tutto il Mediterraneo per la Sicilia. Inoltre, sono territori dove si è sviluppata in parallelo la cucina di corte e quella popolare».
Qual è il tuo rapporto con la cucina tradizionale?
«In Italia, confrontarsi con la cucina tradizionale è difficile, perché molti ritengono la tradizione un valore scolpito nella pietra. Invece non è così, coi secoli abbiamo vissuto una continua evoluzione e l’uso degli ingredienti, delle tecniche e delle preparazioni è cambiato col tempo. Altrimenti continueremmo ancora a cucinare con lo strutto. Per me innovazione e tradizione sono due poli collegati da una linea continua. In mezzo devi trovare la tua posizione, magari oscillando tra i due estremi. Io penso che la tradizione si salvi aggiornandola, se non la tocchi mai non la fai più. L’innovazione, invece, serve per trovare nuove soluzioni che poi tutti possono utilizzare, nella ristorazione ma anche nel privato. Heston Blumenthal (lo chef di The Fat Duck, ndr) mi diceva che l’innovazione era come la Formula 1, il punto di partenza per ottenere le macchine di serie».
Quali sono le tue ambizioni?
«Proporre un ristorante che faccia parte di un’esperienza complessiva formata da diversi elementi: la cucina, lo straordinario panorama sulle Alpi e la città, il lounge bar dove aprire e concludere la serata. I risultati, in termini di clientela come di giudizio delle guide, si ottengono se dai continuità. Il team è fondamentale e voglio ricordare il maître Mirko Feroce, il food & beverage manager Adalberto Robbio e Mirko Turconi, vero chef del bere miscelato e responsabile del lounge bar, premiato dal Gambero Rosso come il migliore d’Italia. Vinci se vince la squadra, ed è la squadra che ti permette di superare anche le difficoltà del singolo. Piano35 deve diventare uno standard, questo è l’obiettivo di tutti».
Piano35, Grattacielo Intesa Sanpaolo, Corso Inghilterra, 3 – sito web
(foto di DAVIDE BARASA)