CLASSE 1978, L'ATTORE TORINESE, TRA I PIÙ RICHIESTI DEL PANORAMA CINEMATOGRAFICO ITALIANO, SARÀ UNO DEI PROTAGONISTI DELLA FICTION SIRENE, IN ONDA SU RAI 1 DAL 21 NOVEMBRE. IN QUESTE PAGINE FACCIAMOI CONOSCENZA CON UN LUCA INEDITO, TRA PROGETTI FUTURI, AMORE PER LA SUA CITTÀ, ONLUS E TANTA VOGLIA DI «CONTINUARE A FARE»
Ne ha fatta di strada, Luca. Ne ha percorsa talmente tanta che ci ha fatto dimenticare che la sua prima esperienza televisiva risale al 2003, quando partecipò alla terza edizione del ‘Grande Fratello’. Da lì non si è più fermato, il suo percorso è sempre stato in salita. Ed è per questo che la cosa che ti impressiona più di tutte, parlando con lui, è la sua estrema gentilezza, il suo avere i piedi ben ancorati per terra. Certo, lo sguardo magnetico e il sorriso affascinante aiutano, ma i suoi modi garbati e la sua umiltà colpiscono di più. Dal 2005, oltre 20 film nelle sale cinematografiche e cinque in televisione; i suoi compagni di set sono tutti bravissimi attori e i registi che l’hanno diretto, grandi nomi del panorama cinematografico italiano. Qualche esempio? Francesca Comencini, Ferzan Özpetek, Michele Placido, Ryan Murphy, Marco Risi, Neri Parenti e Claudio Amendola. E ha recitato al fianco di Julia Roberts (in ‘Mangia prega ama’), Luca Zingaretti, Valeria Golino, Claudia Gerini, Violante Placido, Fabio Troiano e Pierfrancesco Favino.
Non solo cinema, però, nella vita di Luca Argentero. Nel 2011 fonda, insieme all’amico Beniamino Savio, la onlus 1 Caffè: un format innovativo, digitale, che si è mosso solo sul web; una realtà made in Turin nata per «essere un moltiplicatore di solidarietà; per offrire aiuto concreto alle piccole associazioni non profit che nascono e lavorano in Italia, e che spesso non hanno la possibilità di farsi conoscere ma hanno bisogno di essere supportate per portare avanti le loro piccole, grandi battaglie». La prima onlus digitale della città ad aver dato aiuto alle piccole organizzazioni, e che ha aperto il suo Campo Base proprio pochi mesi fa.
Ma facciamo un passo indietro…
Come nasce il tuo desiderio di diventare attore?
«È una domanda difficile, perché non è stata né una scelta né un desiderio coltivato sin da bambino, ma semplicemente una cosa che è successa. Non avevo nessun tipo di velleità artistica fino all’università, tant’è che mi sono laureato in Economia e Commercio. Dopo aver partecipato al ‘Grande Fratello’, si sono presentate innumerevoli occasioni. Non avevo assolutamente idea di cosa volesse dire recitare, ma sono sempre stato un grandissimo appassionato di cinema e ho sempre portato enorme rispetto per chi ha fatto di questo lavoro la sua vita. Quando mi scelsero per ‘Carabinieri’, il mio primo set televisivo, avvertii tutti che non ero un attore. Ma loro, molto carinamente, mi dissero che non era una prova che non potevo non superare. Così mi affiancarono un insegnante e, durante il mio primo giorno di riprese, capii che era quello ciò che mi sarebbe piaciuto fare nella vita. Ma l’ho scoperto solo facendolo».
Quindi si può dire che tu, come attore, sei nato e cresciuto sul set…
«Sì, ma subito dopo ho iniziato a studiare e a frequentare tantissimi corsi. Ho aspettato diversi anni per far scrivere sulla carta d’identità, alla voce professione, la parola attore. All’inizio era semplicemente un sentirsi a proprio agio di fronte alla macchina da presa. Non era quindi un talento particolare, ma una predisposizione a fare un certo lavoro. Una volta messo nella condizione di farlo, ho investito tutte le mie energie e il mio tempo per riuscirci al meglio».
Qual è il tuo primo ricordo su un set cinematografico?
«Un terrore quasi assoluto. È stato molto strano il primo giorno e me lo ricordo anche abbastanza bene. Per fortuna ‘Carabinieri’ non ha mai richiesto scene particolarmente complicate o intense da un punto di vista emotivo. E anche il personaggio che mi avevano cucito addosso non era poi così distante da me: ero io vestito da carabiniere, che dovevo far finta di essere me stesso nei panni di qualcun altro. Dovevo semplicemente simulare me all’interno di una data situazione. Non è stato un lavoro di immedesimazione e, essendo io sempre il buffone del gruppo (ride di gusto, nrd), mi sono divertito anche a farlo davanti a 40 persone. Una cosa che all’inizio mi spaventava molto si è trasformata in un gioco estremamente piacevole. Ho iniziato quasi subito a divertirmi facendo quel che facevo».
Hai sempre lavorato con grandi attori e registi importanti. C’è un aneddoto in particolare che ti ha segnato?
«Dopo una trentina di film ce ne sono migliaia. Mi stupisco ancora oggi quando qualcuno pensa a me per un ruolo. Chi non fa questo mestiere non capisce quanto può essere grande la dedizione soprattutto di chi scrive la storia, di chi la gira… Quante possibilità un regista si gioca mettendo in scena il suo film. E il fatto che lo affidi a te, o ti scelga per una parte, è veramente una grandissima dimostrazione di fiducia e di stima. Per questo ancora mi meraviglio che pensino a me in qualche modo (ride di nuovo, ndr)».
Tu sei comunque un bravissimo attore: sei versatile, vesti bene qualsiasi ruolo. La fiducia te la meriti.
«Oggi sì, dopo 15 anni devi saper fare bene quello che ti chiedono. Se no, non avrebbe senso. Oggi, sulla mia carta d’identità c’è finalmente scritto attore».
C’è un regista che ti ha colpito in modo speciale? E, potendo scegliere, con chi desidereresti lavorare in futuro?
«Tutti quelli con cui non ho lavorato. È come chiedere a uno sportivo se ha voglia di giocare nella sua disciplina. È un desiderio perenne quello di stare su un set, quindi a livello di fascinazione artistica è difficile fare un nome in Italia. Fantasticando, è più facile proiettarsi in una dimensione che non ti appartiene: se proprio devo sognare, sogno in grande. Mi piacerebbe tantissimo conoscere e lavorare con Guillermo del Toro. Ma ci sono veramente tanti registi in giro per il mondo di cui sono, e penso resterò sempre, semplicemente un fan».
Dal 21 novembre sarai in onda su Rai 1 con la fiction ‘Sirene’. Ci parli di questo nuovo progetto e ci spieghi come si sviluppa il tuo personaggio?
«‘Sirene’ è un bellissimo esperimento, perché prova a portare in televisione un genere non particolarmente sviluppato in Italia: il fantasy. La storia parte dal fatto che le sirene – creature marine – possano sbarcare a New York, come nella tradizione cinematografica, oppure nel golfo di Napoli. Nel nostro caso approdano perché devono recuperare un tritone che si è emancipato dal loro mondo estremamente femminista. Il mio personaggio, Salvatore (o meglio Sasà), si imbatte nelle sirene, le accoglie in casa senza naturalmente sapere chi siano e avrà l’ingrato compito di subire i loro poteri, rimanendone affascinato al punto da innamorarsi di una di loro».
Quanti episodi saranno?
«Sei in tutto. Ma è veramente molto divertente».
In base a cosa scegli un copione?
«Ci sono tante variabili. Adesso preferisco scegliere un ruolo nuovo, un personaggio che non ho mai interpretato, rispetto a una cosa già fatta. Poi c’è la bontà della storia, quindi il fatto che girando l’ultima pagina della sceneggiatura vieni colto dalla stessa sorpresa che proverebbe un lettore qualsiasi. Tanto fa anche il cast, il team di cui si compone il progetto: il gruppo di lavoro conta moltissimo».
Com’è nata l’idea di fondare 1 Caffè Onlus?
«Dall’amicizia con Beniamino Savio, che è il mio socio, amico, collega, presidente… Siamo due ex studenti torinesi rimasti sempre amici. Abbiamo cercato, dopo qualche anno di rispettiva fortuna nei nostri ambiti lavorativi, e non solo, di immaginare un modo per restituirne un po’ a chi ne ha più bisogno. Beniamino mi ha parlato della tradizione napoletana del caffè sospeso, e siamo partiti da lì per sviluppare un progetto che permettesse a ognuno di noi di realizzare un piccolo gesto di solidarietà tutti i giorni. Come destinatari di questo metaforico caffè abbiamo scelto le piccole associazioni».
Come mai?
«Mi è capitato spesso di sentirmi chiedere di diventare il volto o la voce di una causa importante. Ma tutti già sanno che Save the Children esiste. È invece necessario che la gente scopra tutte le piccole realtà, tutte quelle associazioni che hanno pochissime possibilità farsi conoscere e, di conseguenza, di organizzare raccolte di fondi. E in Italia ne esistono tantissime, oltre 15mila. Da lì l’idea di presentare, ogni settimana, un piccolo progetto. Abbiamo raccolto adesioni da un altissimo numero di onlus».
Avete aperto da poco anche il Campo Base.
«Campo Base non è solo la sede fisica di 1 Caffè, ma anche una costola del progetto. Un ulteriore modo per dare una mano. In questi anni abbiamo lavorato con più di 200 onlus e abbiamo capito che, molto spesso, a queste associazioni non servono solo un aiuto economico o un po’ di pubblicità: hanno bisogno, ad esempio, di un commercialista che le aiuti a scrivere bene lo Statuto, o di un esperto di web che dia loro una mano per costruire un sito che funzioni, o di un notaio o di un giornalista… Così abbiamo deciso di mettere in relazione domanda e offerta, coinvolgendo professionisti che, mettendosi a disposizione per un paio di ore alla settimana o al mese, danno una mano a chi ne ha necessità. E ti posso assicurare che le richieste sono le più svariate. Ci sono mille modi per dare una mano».
Torino è un fiore che sboccia ogni anno che passa. Mi dà l’impressione di una città che migliora, che diventa sempre più bella, che cresce, che si arricchisce di offerta culturale e sociale
Quant’è importante per te la tua città natale?
«Torino è casa, è dove vive la mia famiglia, dove ci sono i miei amici di sempre. È un punto di riferimento, il posto dove mi sento più a mio agio. Ho vissuto per tanti anni da forestiero in città non mie ed è sempre stato difficile. In più, Torino è un fiore che sboccia ogni anno che passa. Mi dà l’impressione di una città che migliora, che diventa sempre più bella, che cresce, che si arricchisce di offerta culturale e sociale. Per tutti questi motivi è la mia città».
Un luogo del cuore?
«Sono cresciuto in un’epoca un po’ contestata: quella dei Murazzi, quando erano belli, vivi e pulsanti. Devo essere sincero, la vista che si ha da uno dei ponti o dai Muri, soprattutto al tramonto o al mattino molto presto, con la collina da una parte, dall’altra la città… beh, wow! È davvero un posto magico».
Il sogno nel cassetto di Luca?
«Sono davvero molto, molto appagato. Il mio sogno è continuare a fare quello che sto facendo. Mi sento una persona parecchio fortunata: sto bene, faccio il lavoro che mi piace e sono circondato da persone che amo e che mi amano. Avere un sogno mi sembrerebbe non dico chiedere troppo, ma… In realtà, mi piacerebbe semplicemente che rimanesse tutto così com’è».
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